9. La funzione giurisdizionale: la magistratura

1. La magistratura

La magistratura è il corpo dei giudici chiamati a decidere le controversie nell’esercizio della funzione giurisdizionale, corpo essenzialmente costituito dai magistrati ordinari

Secondo la Costituzione essi sono “istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 102, primo comma). L’ordinamento giudiziario è tutt’oggi regolato dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sul quale sono poi intervenute numerose modifiche, le più importanti tra le quali apportate con la legge n. 111/2007.

Nonostante l’art. 102 sancisca fortemente il ruolo della magistratura ordinaria, disponendo che non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali, la Costituzione ammette comunque la presenza di altri corpi e organi titolari di funzioni giurisdizionali: ne è un esempio l’art. 103 Cost., il quale conferma l’esistenza di alcune magistrature speciali (Consiglio di Stato, giudici amministrativi, Corte dei conti e Tribunali militari).

L’articolo 111 (come modificato dalla legge costituzionale n. 2/1999) sancisce alcune regole generali per l’esercizio della funzione giurisdizionale, nonché i processi davanti al quale si svolgono.

Queste regole vanno così a definire il concetto di giusto processo, integrando quanto già disposto dall’art. 24 Cost., secondo il quale “tutti hanno diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri interessi” (primo comma) e che “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (secondo comma).

Il primo elemento, dunque, che secondo tale articolo caratterizza il giusto processo, è l’affermazione dei diritti di azione e di difesa. Questo viene anche detto principio del contraddittorio, secondo il quale le regole processuali devono permettere a ciascun interessato di intervenire nel processo, divenendone parte.

In aggiunta ad esso, il secondo comma afferma il principio della parità delle parti, in forza del quale il sistema processuale non deve privilegiare alcuna parte a discapito dell’altra. Inoltre, sempre il secondo comma, aggiunge anche il principio della terzietà e imparzialità del giudice: egli dovrà infatti essere totalmente estraneo alla controversia che dovrà giudicare.

Ulteriore elemento essenziale è dato dalla ragionevole durata del processo, elemento che tuttavia viene spesso a mancare nel sistema processuale italiano, con conseguenti condanne per l’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Infine, è prescritto, al sesto comma dell’art. 111, che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Alla magistratura ordinaria spettano esclusivamente le funzioni giurisdizionali, escluse quelle specificatamente attribuite ai giudici speciali.

Con il termine giurisdizione si indica la parte di funzione giurisdizionale attribuita ad una magistratura. Pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario ha carattere generale, a differenza di quella delle altre magistrature, relativa ai settori ad esse attribuiti.

La magistratura ordinaria è formata da un corpo di magistrati, distinti tra loro per la diversità delle loro funzioni, così come definito dall’art. 107 Cost.

La legge distingue le loro funzioni in:

  • funzioni giudicanti: giudicare in posizione di terzietà tra le parti del processo;
  • funzioni requirenti: svolgimento delle funzioni del PM.

Essendo collegate ad attività diverse, il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti è soggetto a limitazioni, nonché a specifiche condizioni curricolari.

Entrambe sono distinte in:

  • funzioni di primo grado: giudici di pace e magistrati dei tribunali;
  • funzioni di secondo grado: consiglieri di corte d’appello;
  • funzioni di legittimità: consiglieri di cassazione.

I giudici sono funzionari professionali, legati allo Stato attraverso un rapporto di pubblico impiego. 

Alla magistratura ordinaria è possibile accedere esclusivamente mediante concorso pubblico, al quale possono partecipare cittadini laureati in giurisprudenza, e in possesso di altri requisiti stabiliti dalla legge.

L’art. 101 Cost. stabilisce che i giudici amministrano la giustizia in nome del popolo, nonostante non siano da esso eletti, ne siano suoi rappresentanti. Il legame, infatti, che unisce giustizia e popolo è indiretto, traducendosi nella soggezione dei giudici alla legge (secondo comma dell’art. 101), la quale esprime, attraverso la volontà dei suoi rappresentanti in Parlamento, la volontà del popolo.

È possibile, tuttavia, ai sensi dell’art. 106 Cost., prevedere per legge “la nomina anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”. Il tutto è previsto in modo stabile solo per i giudici di pace, che vengono nominati con decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura.

In determinati casi la legge regola i casi e le forme di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia (art. 102 Cost.): è il caso delle Corte di assise e delle Corti di assise d’appello, costituite da sei giudici popolari e due giudici professionisti, chiamati a giudicare, in veste di giudici penali, i reati più gravi.

L’attività della magistratura ordinaria si può distinguere, essenzialmente, in giurisdizione civile giurisdizione penale.

2. La giurisdizione civile nelle linee fondamentali 

La giurisdizione civile si occupa delle controversie riguardanti i cosiddetti diritti soggettivi, sia che ci si trovi all’interno di rapporti di diritto pubblico, sia di rapporti di diritto privato.

La legge 24 novembre 1981, n. 689, ha inoltre attribuito al giudice civile la piena giurisdizione in materia di sanzioni amministrative “punitive”, ovverosia di sanzioni amministrative volte a scoraggiare determinati comportamenti mediante l’obbligo, per il trasgressore, di pagare una somma di denaro.

Le controversie civili si instaurano davanti al giudice di pace o davanti al tribunale, a seconda dei criteri di competenza stabiliti dal codice di procedura civile.

Il processo, detto anche causa, inizia normalmente con con l’atto di citazione tramite il quale un soggetto (attore) chiama davanti ad un giudice un altro soggetto (convenuto) affinché venga accertata la fondatezza di una sua pretesa nei confronti dello stesso convenuto.

Solo in casi eccezionali ed espressamente previsti dalla legge, l’azione civile è esercitata dal pubblico ministero, anziché dalla parte interessata.

In generale, comunque, il processo civile non può iniziare senza iniziativa di parte e nel suo svolgimento, esso si ispira al cosiddetto principio dispositivo, in virtù del quale sono le parti a dover proporre le prove sulle quale dovrà poi basarsi il giudice nel decidere. Il giudice stesso, infatti, non può disporre delle prove d’ufficio o di sua iniziativa, anche se utili o necessarie; deve pronunciarsi, inoltre, solo riguardo a ciò che gli è stato domandato: non può quindi pronunciarsi oltre i limiti della domanda, né può la può respingere in base ad eccezioni che non siano state proposte.

Fanno eccezione a ciò determinati casi previsti dalla legge per i quali il processo civile si svolge a tutela di interessi generali e non privati.

La sentenza di primo grado pronunciata dal giudice è provvisoriamente esecutiva tra le parti. ‘Provvisoriamente’ in quanto la parte soccombente può chiedere, entro determinati termini temporali, un giudizio d’appello.

Il giudizio d’appello è un nuovo giudizio nel corso del quale la questione, già precedentemente risolta dal primo giudizio, viene riesaminata secondo quanto richiesto dal soggetto appellante, sia nella valutazione dei fatti accaduti (il fatto, o anche nel merito della controversia) sia nella valutazione delle norme giuridiche da applicare (il diritto).

A loro volte le sentenze d’appello possono essere impugnate nuovamente dalla parte soccombente davanti alla Corte di cassazione. Tuttavia, il ricorso per cassazione è ammesso solamente per motivi di diritto (errata applicazione della legge). 

Quando una sentenza non può essere impugnata essa passa in giudicato. Il giudicato rimane da quel momento immutabile, salvo alcune eccezioni nel quale può essere revocato: per dolo delle parti o del giudice, per falsità delle prove, e per altre evenienze, previste dall’art. 395 c.p.c.

3. La giurisdizione penale nelle linee fondamentali

La giurisdizione penale accerta, attraverso il processo penale, la responsabilità del soggetto accusato di aver commesso un reato, detto in questo caso imputato.

Essa è esercitata in primo grado dal tribunale o dalla Corte di assise.

L’azione penale ha sempre inizio dal pubblico ministero, e il suo esercizio è definito come un obbligo dall’art. 112 della Costituzione; in determinati casi previsti dalla legge, non può essere esercitata se non per esplicita richiesta della persona offesa dal reato, con atto detto querela. Si tratta di quei casi nei quali la pubblicità derivante dal processo rischia di essere, per il soggetto interessato, più dannosa del reato stesso, lasciandogli quindi la decisione di poter instaurare o meno il processo.

In passato, in Italia il processo penale era basato sul principio inquisitorio, secondo il quale spettava al giudice stabilire la verità, cercando anche d’ufficio le prove necessarie per il caso. Più precisamente il sistema italiano era un sistema misto: gli elementi inquisitori prevalevano nettamente nell’istruttoria, durante la quale le prove venivano raccolte e ricostruite poi dal giudice istruttore, prima del dibattimento in aula, in assenza quindi di un vero e proprio contraddittorio.

Oggi, il vigente codice di procedura penale italiano, emanato con il decreto legislativo 22 settembre 1988, n. 447, è ispirato di massima ai principi del sistema inquisitorio.

Il pm svolge le indagini preliminari, le quali di norma non costituiscono prova. In qualità di posizione di parte, esso non ha più il potere di limitare la libertà personale, a differenza invece del giudice incaricato di seguire le indagini preliminari.

La persona su cui vengono svolge le indagini diventa imputato nel momento in cui, al termine delle indagini, viene richiesto il rinvio a giudizio da parte del pm. È da questo momento che inizia il vero e proprio processo.

Attraverso il dibattimento, l’accusa, in contraddittorio con la difesa, cerca di formare le prove della colpevolezza, al fine di ottenere la condanna dell’imputato.

Le formule che concludono il giudizio attraverso l’assoluzione sono quelle indicate nell’art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, e sono:

  • il fatto non sussiste;
  • l’imputato non lo ha commesso;
  • il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;
  • il reato è stato commesso da un imputato non imputabile o non punibile per altre ragioni;
  • manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste.

Oltre al procedimento ordinario, il codice di procedura penale disciplina anche alcuni procedimenti speciali: il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena a richiesta delle parti e il procedimento per decreto, i quali puntano tutti allo scopo di non dover ricorrere al dispendioso strumento del dibattimento in quei casi in cui ciò non sia giustificato dalla situazione concreta. Dato che esso si traduce in una minor garanzia dei diritti processuali della difesa, è necessario il consenso o la mancata opposizione dell’imputato.

Gli altri procedimenti speciali sono finalizzati ad anticipare il dibattimento, saltando così le fasi preliminari. 

Ad esempio, il giudizio direttissimo che presuppone il verificarsi di circostanze speciali quali la flagranza di reato o la già resa confessione dell’imputato, mentre il giudizio immediato richiede che la prova del fatto appaia evidente.

Contro le sentenze penali di primo grado è possibile l’appello, sia da parte dell’imputato che del PM laddove le sue richieste non siano state accolte dal giudice. Il ricorso alla sentenza del Tribunale viene presentato alla Corte d’appello, mentre per le sentenze della Corte di assise, alla Corte di assise d’appello.

Il giudizio d’appello non può concludersi con una pena, a carico dell’imputato, maggiore di quella prevista dalla sentenza di primo grado nel caso in cui il ricorso sia stato proposto dall’imputato stesso.

È previsto anche, come terzo grado di giudizio, il ricorso per cassazione, solo per errata applicazione delle norme giuridiche.

Relativamente ai principi costituzionali, è necessario ricordare l’art. 27 Cost, secondo comma, secondo il quale “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (presunzione di non colpevolezza). Lo stesso articolo precisa anche che “la responsabilità penale è personale” (deve riferirsi ad un comportamento proprio dell’accusato) e che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

L’art. 25 Cost. stabilisce, inoltre, che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, secondo il cosiddetto principio di irretroattività della legge penale.

Infine, la Costituzione italiana precisa come non sia ammessa la pena di morte, né tantomeno l’estradizione (consegna di una persona ad altro Stato in caso di prosecuzione penale) se nello Stato richiedente è prevista la pena di morte per il reato di cui è accusato il soggetto (sentenza della Corte Costituzionale, n. 54/1979).

Come già accennato, il nostro ordinamento prevede, oltre alla giurisdizione ordinaria, anche delle giurisdizioni speciali, le quali si occupano di particolari controversie, secondo un criterio di specializzazione richiesto dalla loro natura tecnica. 

Con l’art. 103 Cost. sono istituite le seguenti giurisdizioni speciali:

  • la giurisdizione amministrativa, la quale accerta che una pubblica amministrazione non abbia assunto provvedimenti dannosi nei confronti di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo di un cittadino. Il giudice amministrativo è un complesso di organi giurisdizionali, più precisamente un sistema di tribunali amministrativi regionali quali giudici di primo grado, e dal Consiglio di Stato come giudice di appello. Questo complesso di organi giurisdizionali è individuato nelle sue funzioni, ma non disciplinato, dagli art. 100 e 125 Cost. La loro disciplina è contenuta nella legge 27 aprile 1982, n. 186;
  • la giurisdizione tributaria, la quale, attraverso le Commissioni tributarie, si occupa di controversie riguardanti i tributi, ed è ordinata su due gradi di giurisdizione speciale: Commissione provinciale in primo grado, Commissione regionale in grado di appello. La disciplina del processo tributario è contenuta nei decreti legislativi 545 e 546 del 31 dicembre 1992;
  • la giurisdizione delle acque pubbliche, devoluta ai Tribunali regionali e al Tribunale superiore delle acque pubbliche, competente di controversie inerenti ad acque pubbliche, demanialità di fondi e corsi d’acqua;
  • la giurisdizione militare, i cui giudici speciali sono i Tribunali militari. In tempi di pace essi hanno giurisdizione solo per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate (come sancito dall’art, 103 Cost., terzo comma). La giurisdizione militare è ancorata a un duplice presupposto: un elemento obiettivo (reato militare, cioè previsto dal codice penale militare di pace) e un elemento soggettivo (reato commesso da un appartenente alle forze dell’ordine). Neppure le leggi militari di guerra possono prevedere la pena di morte.

4. Consiglio Superiore della Magistratura

Il Consiglio Superiore della Magistratura è l’organo di governo della magistratura italiana. La sua indipendenza è sancita dall’art. 104 Cost.

Esso gestisce tutto ciò che riguarda i percorsi di carriera di giudici e pm: i concorsi per l’immissione in ruolo, le procedure di assegnazione e trasferimento, gli avanzamenti di carriera, la cessazione del servizio e gli aspetti disciplinari relativi ai magistrati.

La legge attualmente in vigore, la n. 44/2002, prevede che il CSM sia composto da 27: 24 consiglieri elettivi, di cui 8 laici e 16 togati, e 3 membri di diritto, ovverosia il Capo dello Stato, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione.

I 16 consiglieri togati sono scelti tra magistrati ordinari, eletti da tutti i magistrati ordinari, mentre gli 8 laici vengono eletti dal Parlamento tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con quindici anni di esercizio.

Al CSM spettano “le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati” (art. 105 Cost.).

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