8. Marco Fabio Quintiliano

1. La vita

Marco Fabio Quintiliano nacque a Calagurris (oggi Calahorra), in Spagna, intorno al 35 d.C., da un maestro di retorica. Da giovane si trasferì a Roma, dove seguì l’insegnamento del grammatico Remmio Palèmone e del retore Domizio Afro. Successivamente fece ritorno in Spagna, dove svolse l’attività forense; tornò a Roma nuovamente nel 68 d.C., richiamato da Galba,  e incominciò la sua attività di maestro di retorica, senza tuttavia interrompere la sua carriera da avvocato. Come insegnante ebbe grande successo (tra i suoi discepoli troviamo Plinio il Giovane e probabilmente Tacito), tanto che, stipendiato da Vespasiano, ebbe la prima cattedra statale con uno stipendio di 100.000 sesterzi annui. Successivamente, Domiziano lo incaricò dell’educazione di due suoi nipoti; nell’88 si ritirò dall’insegnamento e dall’avvocatura, dedicandosi esclusivamente agli studi. Morì dopo il 95.

2. L’Institutio oratoria

L’Institutio oratoria è dedicata a Vittorio Marcello (un oratore che era ammirato anche da Stazio ed era amico di Valerio Probo) ed è preceduta da una lettera a Trifone, l’editore che deve incaricarsi della diffusione. I primi due libri hanno un carattere didattico e pedagogico in quanto pongono al centro l’insegnamento elementare e le basi di quello retorico, parlando anche dei doveri degli insegnanti. I libri III-IX esaminano invece le diverse sezioni della retorica, a cominciare dalle sue suddivisioni: inventio, dispositio ed elocutio. Il libro X insegna i modi di acquisire la facilitas, cioè la disinvoltura nell’espressione: questo libro è importante perché Quintiliano inserisce un famoso excursus storico-letterario sugli scrittori greci e latini (preziosa testimonianza sui canoni critici dell’antichità). Pur considerando che i giudizi critici sono posti esclusivamente dal punto di vista retorico, Quintiliano vuole mostrare come la cultura letteraria latina regga il confronto con quella greca. Il libro XI si occupa delle tecniche di memorizzazione (memoria) e della dedizione con cui accompagnare la performance oratoria (actio). Illibro XIIaffronta varie tematiche riguardanti i requisiti culturali e morali che si richiedono all’oratore, non tralasciando il problema del rapporto tra oratore e principe. Scopo dichiarato da Quintiliano è quello di recuperare l’eredità di Cicerone; un’eredità sia stilistica, con il suo ideale di concinnitas, armonia ed equilibrio, sia politica, essendo stato Cicerone l’estremo difensore della libertà repubblicana. Un compito ambizioso, considerando alcune inevitabili differenze dovute ai tempi e al contesto politico: ormai la libertas repubblicana aveva ceduto il passo a un principato caratterizzato dal consenso e senza alcuno spazio per voci discordanti. Nel ritorno a Cicerone si esprime, da parte di Quintiliano, l’esigenza di ritrovare una sobrietà di espressione che sia insieme sintomo di una rinnovata forza nei costumi romani da preservare.

3. La decadenza dell’oratoria

Nell’epoca di Quintiliano fu molto avvertita una generale corruzione dell’eloquenza: questa riguardava sia la morale sia il gusto letterario. L’aspetto morale era evidente nell’utilizzo dell’eloquenza a fini di ricatto; a questo si aggiungeva il fatto che le scuole fossero abbastanza piene di insegnanti corrotti e a loro volta corruttori della moralità degli allievi (lo stesso Palèmone ad esempio). Il secondo aspetto del problema riguardava le scelte letterarie: Quintiliano, riprendendo Cicerone, si fa portavoce di una reazione classicista nei confronti di uno stile considerato “corrotto” e che vede come illustre responsabile Seneca.  Difficile trovare spiegazioni riguardo questo fenomeno: gli antichi infatti pensavano che ci fosse una degradazione del gusto, dovuta alla perdita dei valori morali. Quintiliano, non diversamente da altri autori antichi, considera il problema della decadenza dell’oratoria in termini moralistici e ne addita le cause nella generale degradazione dei costumi. Egli, allo stesso tempo propone come possibile soluzione da seguire il ritorno all’efficacia dell’educazione: la corruzione dell’oratoria ha ai suoi occhi anche cause di tipo tecnico che egli ravvisava nel decadimento delle scuole e nella vacuità stravagante delle declamazioni retoriche. La composizione dell’Institutio oratoria si inserisce proprio in questa dimensione: un programma complessivo di formazione culturale e morale, che il futuro oratore deve seguire scrupolosamente dall’infanzia fino all’ingresso nella vita pubblica.

4. Lo stile

A livello stilistico, Quintiliano sceglie soprattutto il modello ciceroniano, capace di essere equidistante tra l’asciuttezza e l’ampollosità. In realtà Quintiliano si discostava sia dall’arcaismo sia dall’eccessivo “modernismo” dell’asianesimo senecano. Lo stile dello stesso Quintiliano non è armoniosamente ampio e simmetrico come quello di Cicerone, in quanto sembra risentire dell’utilizzo della prosa di Seneca. Quintiliano ricerca, comunque, la giusta misura ed evita gli eccessi dell’ostentazione espressiva; lo stesso suo gusto per la misura e per il giudizio, sorretto dall’esperienza, fece di Quintiliano un autore particolarmente caro al Medioevo e in generale alla cultura del Rinascimento.

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