1. Tra innovazioni e sperimentalismo
Nei primi decenni del Novecento c’è un vero e proprio scarto con il periodo precedente dovuto ai vari sconvolgimenti economici e sociali provocati dalla Seconda rivoluzione industriale e al trauma generale rappresentato dalla Grande guerra. I temi prevalenti della letteratura modernista sono: l’inadeguatezza, la memoria (un tema che trasforma la percezione del tempo come in Marcel Proust), l’alienazione (rappresentato in modo esemplare dalla narrativa di Kafka), l’inettitudine dell’io, il destino (al centro dell’opera di Robert Musil), la percezione della realtà e dell’individuo come inautentica, la malattia come condizione caratteristica (un tema che trova espressione in Thomas Mann).
Nel primo Novecento il romanzo conosce un grande successo popolare, grazie al diffondersi dell’alfabetizzazione. Questo non si sviluppa solo come mezzo di intrattenimento, bensì diventa il luogo della ricerca e della sperimentazione letteraria. Il romanzo novecentesco ha caratteristiche nuove: l’eroe diventa antieroe, portatore di un disagio che lo isola dal contesto sociale; i valori morali appaiono più sfumati, grazie a Freud (1856-1939) e alla teoria psicoanalitica che ridefinisce su basi nuove il concetto di identità, portando alla luce il concetto di coscienza individuale, secondo cui le motivazioni profonde delle nostre azioni sfuggono alla nostra stessa coscienza: è per questo motivo che la lingua adesso si spinge fino alla forma estrema dello stream of consciousness (riproduzione diretta dello spontaneo formarsi dei pensieri nella coscienza), del monologo interiore e del discorso indiretto libero. Un’altra caratteristica è che viene meno la fiducia ottocentesca nella ragione; l’autore, non è più onnisciente, non fornisce una rappresentazione oggettiva della realtà, ma diventa portatore di domanda e tende ad identificarsi con il protagonista. Il romanzo di inizio Novecento arriva a negare la possibilità di rappresentare la realtà spostando il focus sulla dimensione interiore del personaggio: per questo motivo, la focalizzazione è quasi sempre interna, la rappresentazione è quasi sempre soggettiva e l’autore riesce a far emergere la vulnerabilità, la crisi e il disagio dell’uomo contemporaneo. L’universo del romanzo non è più dominato da una coerenza logica, ma appare segnato dal caos poiché è entrata in crisi la possibilità di capire razionalmente la realtà.
2. Gli autori
THOMAS MANN (1875-1955)
Nasce nel 1875 a Lubecca sul Baltico da una famiglia dell’alta borghesia. Alla morte del padre (1891), la mamma si trasferisce a Monaco di Baviera e lui la raggiungerà solo due anni dopo senza aver concluso gli studi liceali.
Qui inizia a collaborare con un giornale di satira politica e comincia a pubblicare brevi racconti su riviste letterarie. Il primo romanzo che scrive è I buddenbrook (1901), composto durante un soggiorno in Italia; qui, ricostruisce la storia di una ricca famiglia di Lubecca e della sua decadenza nell’arco di quattro generazioni. Narra l’isolamento dell’individuo di fronte alla società borghese, un tema che tornerà anche nei suoi romanzi successivi insieme a quello dell’incomunicabilità.
Tornato in Germania si sposa con Katja Pringsheim, con cui trascorre un periodo in un sanatorio svizzero dove lei deve curarsi. Questa esperienza darà origine ad un altro romanzo La montagna incantata (1924): il protagonista Hans Castorp, venuto a trovare il cugino Joachim Ziemssen, paziente della clinica, scopre di essere a sua volta malato e di dover quindi rimanere per curarsi. Dopo aver ricevuto il Premio Nobel nel 1929, compie diversi viaggi in Europa, in Egitto e Palestina, che portano alla pubblicazione di una nuova stesura Giuseppe e i suoi fratelli (1933), dove in quattro volumi rielabora in chiave mitica il racconto biblico. Dopo l’affermazione del regime nazista, cominciano anni di esilio volontario e matura la decisione di non voler tornare più in Germania. Si trasferisce negli Stati Uniti, dove insegna in diverse università; a questi anni risale il romanzo Doktor Faustus (1947), in cui l’autore riscrive il mito di Faust che vende la sua anima al diavolo (il testo si presenta come una sorta di indagine sulle origini del nazismo). Nel 1952 rientra in Europa dove muore a Zurigo nel 1955.
FRANZ KAFKA (1883-1924)
Primo di sei figli, nasce a Praga nel 1883 da una ricca famiglia ebrea. Nel 1906 si laurea in Giurisprudenza e, dopo un anno di pratica giuridica, nel 1907 trova un impiego nel ramo assicurativo. I rapporti con la famiglia sono molto tormentati, in particolare quello con il padre è segnato da una profonda incomunicabilità; presto i suoi problemi psicologici portano l’autore in uno stato depressivo. A causa del peggioramento della tubercolosi, dal 1917 Kafka compie diversi viaggi per curarsi. Muore a Vienna nel 1924.
Nel 1916 esce il suo racconto più celebre, La metamorfosi, in una vicenda simile a un incubo in cui il protagonista, un giovane commesso viaggiatore Gregor Samsa, si risveglia una mattina trasformato in insetto e il ritorno all’aspetto umano non avviene più; la metamorfosi con l’insetto dà vita ad una metafora dell’alienazione umana nella società moderna e dell’oppressione che la società borghese e la famiglia esercitano sul singolo. Oltre che per questo racconto, Kafka è ricordato anche per tre romanzi rimasti tutti incompiuti e pubblicati postumi: Il processo (1925), Il castello (1926) e America(1927). Nel primo citato il senso di colpa che tormenta Kafka prende forma nell’immagine del tribunale dove il protagonista, Joseph K., un tranquillo impiegato, si ritrova coinvolto senza alcuna spiegazione in una vicenda giudiziaria dai contorni vaghi. Nel romanzo Il castello, il luogo misterioso dove la vicenda viene ambientata è la rappresentazione simbolica di un’autorità superiore che rende il protagonista un estraneo nella propria comunità.
Infine, America è la storia di un ragazzino chiamato Karl Rossmann che viene punito dalla famiglia e inviato in America, dove si ritrova in una realtà abbastanza difficile e confusionaria. La scrittura di Kafka è sia autobiografia sia universale: infatti, il suo malessere, la sua nevrosi, solitudine ed emarginazione rientrano in problematiche di interesse collettivo.
ROBERT MUSIL (1880-1942)
Nasce in Austria, a Klagenfurt, nel 1880. Dopo aver frequentato in gioventù un collegio militare, si laurea in Ingegneria meccanica. Nel 1904 si trasferisce a Berlino per studiare logica, fisica e psicologia alla facoltà di Filosofia mentre lavora al suo primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless. Si tratta di una storia di formazione e di ispirazione autobiografica, dove si racconta il passaggio di un ragazzo dall’adolescenza all’età adulta; nel romanzo emerge la crisi dell’individuo, la crisi politica e sociale. Dopo la Prima guerra mondiale, lavora come consigliere militare e successivamente dà alla luce altri scritti, tra cui, Vinzenz e l’amica degli uomini importanti. All’avvento del nazismo lascia la Germania e si stabilisce a Vienna, a Zurigo e poi a Ginevra, dove muore nel 1942 mentre ancora lavora alle bozze del terzo volume del suo grande capolavoro, L’uomo senza qualità.
Il romanzo è ambientato a Vienna alla vigilia della Prima guerra mondiale. Il protagonista, Ulrich Anders, ex ufficiale appassionato di fisica e matematica, è eletto segretario di un comitato costituitosi in contrapposizione alle iniziative tedesche. Il protagonista vive in una condizione di apatia, per questo definito “senza qualità” e vive da asociale; su questo filone, poi, si incastrano altre storie. L’intento del romanzo è quello di presentare tutta la realtà nel suo mutevole divenire, motivo per cui nel racconto la realtà è priva di un centro e rifiuta di essere ordinata dal pensiero.
VIRGINIA WOOLF (1882-1941)
Terza di quattro figli, Virginia Woolf nasce a Londra nel 1882. Dopo la morte della madre e del padre, entra in un grave stato depressivo che l’accompagnerà per il resto della sua vita. Grazie a suo fratello Thoby, entra in contatto con i maggiori intellettuali del tempo, fra cui l’editore Leonard S. Woolf, che sposa nel 1912 e da cui prende il cognome con cui firmerà i suoi libri. Virginia in quegli anni fonda insieme ai fratelli un circolo intellettuale, il Bloomsbury Set e inizia a collaborare con riviste letterarie. Fonda una casa editrice che dirige insieme al marito, la Hogarth Press, dove vengono pubblicati tutti i libri della scrittrice e anche alcuni di Eliot e Joyce. La scrittrice muore suicida nel fiume Ouse nel 1941.
Virginia Woolf è una grande innovatrice del romanzo; ricordiamo, tra questi, La signora Dalloway (1925) che racconta una giornata londinese nella quale la protagonista compie una serie di azioni descrivendo ciò che vede e pensa, mettendo così in luce il carattere mutevole della dimensione psichica in questo caso femminile: la scrittrice punta molto a questioni di genere, riflettendo sulla condizione della donna sul piano sociale, giuridico e familiare. Particolarmente noto è il romanzo Gita al faro: la protagonista è la signora Ramsay, una cinquantenne, che promette al figlio piccolo di sei anni di portarlo il giorno dopo in gita al faro. Il giorno successivo, però, la gita non viene organizzata; passano gli anni e la signora Ramsay muore. Il tema portante è il rapporto tra lo scorrere del tempo e l’esistenza degli esseri umani (tempo soggettivo). La scrittrice è ricordata anche per aver scritto Una stanza tutta per sé (1929), Le onde (1931), Gli anni (1937).
JAMES JOYCE (1882-1941)
Joyce nasce a Dublino nel 1882. Frequenta il liceo dei gesuiti e poi si iscrive all’Università alla facoltà di Lingue e Letterature straniere. Dopo la laurea, si trasferisce a Parigi, anche se, poco dopo rientra in Irlanda per la morte della madre, restandovi sino al 1904. In questo anno conosce la sua futura moglie, Nora Barnacle, che gli starà accanto per tutta la vita; con lei si trasferisce prima a Trieste, dove insegna inglese alla Berlitz School e inizia i racconti Gente di Dublino (1914), un vero e proprio ritratto sociale della sua città d’origine, incentrato sull’inettitudine al vivere. In questo racconto, la scrittura è tradizionale, ma si avvertono i primi spunti sperimentali, come la poetica dell’epifania, basata sull’improvvisa rivelazione del senso profondo delle cose, che si può manifestare in un frammento di dialogo, in un oggetto o in un semplice particolare.
Successivamente si trasferisce a Roma, dove inizia la stesura dell’Ulisse, pubblicato a Parigi nel 1922. È per questo libro che possiamo considerare Joyce rivoluzionario: mettendo in primo piano la dimensione interiore dei personaggi, riproduce il loro contesto attraverso filtri soggettivi utilizzando la tecnica del flusso di coscienza, del monologo interiore e attraverso un fitto intreccio di voci diverse. Il protagonista è Leopold Bloom (antieroe inconcludente), il quale rivive in una sola giornata il viaggio che ha compiuto Ulisse nell’Odissea di Omero, rovesciando il poema greco per mostrare la crisi dell’uomo moderno smarrito all’interno di una città caotica come Dublino (luogo in cui viene ambientato questo romanzo). Il racconto è articolato in 18 episodi, ognuno dei quali pone al centro della narrazione una sensazione proveniente da un certo organo del corpo, contraddistinto da un simbolo. In questi episodi altre figure fondamentali per l’intreccio del romanzo sono: Molly, la moglie di Bloom (corrispettivo di Penelope per Omero) e Stephen Dedalus, un giovane intellettuale (corrispettivo di Telemaco per Omero).
Dopo la permanenza a Roma, torna nuovamente a Trieste, dove scrive Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane (1916): qui Joyce assume solo il punto di vista del protagonista, che vive la propria crescita assumendo un atteggiamento ribelle. Successivamente è a Zurigo, dove muore nel 1941.
MARCEL PROUST (1871-1922)
Nasce nel 1871 ad Auteuil, sobborgo parigino da famiglia alto-borghese. Negli anni del liceo è a contatto con intellettuali e comincia a collaborare con importanti giornali della città, nonostante soffrisse di attacchi di ansia e disturbi di origine nervosa. Dopo il diploma si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza; nel 1903 il padre muore e dopo due anni la madre. In questo periodo scrive il romanzo Jean Santeuil, pubblicato postumo nel 1952: questo altro non è che un abbozzo della sua opera maggiore. Con l’aggravarsi della malattia, l’autore si isola definitivamente dal mondo e si chiude in una stanza dedicandosi alla stesura della sua opera più importante: Alla ricerca del tempo perduto, concluso nel 1922, stesso anno in cui muore a Parigi.
Il ciclo Alla ricerca del tempo perduto è composto da sette romanzi pubblicati fra il 1913 e il 1927: La strada di Swann, All’ombra delle fanciulle in fiore, I Guermantes, Sodoma e Gomorra, La prigioniera, La fuggitiva, Il tempo ritrovato. A narrare gli avvenimenti in prima persona è il protagonista, Marcel che ricostruisce il suo passato, attraverso avvenimenti che hanno una rilevanza oggettiva per lui. Bisogna precisare che durante l’università Proust aveva frequentato corsi tenuti da Henri Bergson, il quale aveva formulato la teoria in base alla quale al di là del tempo cronologico, esiste la “durata”: un flusso di ricordi, eventi e visioni che costituiscono il nostro tempo interiore. È per questo motivo che la ricostruzione nel romanzo di Proust non segue un ordine cronologico dei fatti e il tempo dedicato al racconto di ogni singolo episodio non è proporzionale alla durata effettiva, ma a quella interiore. Il racconto è anche un romanzo di formazione, dal momento che, il protagonista, è un uomo immerso nel proprio tempo, affascinato dalle arti e dalla cultura, che si pone diverse domande sulla propria esistenza e sulla storia in generale. A partire dal presente e passando poi all’infanzia e all’adolescenza, l’io narrante, tratta l’amore, la solitudine, la malattia e la morte; l’autore, in questo modo, affida interamente il senso della propria vita tra le pagine di questo libro.