1. Le identità fragili
All’interno della società convivono al giorno d’oggi molteplici popolazioni di origini, culture, lingue, tradizioni e religioni diverse. L’antropologia contemporanea si occupa dello studio dei nuovi contenuti culturali che hanno luogo principalmente all’interno di contesti locali globalizzati, molto spesso le città, le metropoli e le megalopoli.
Il fatto che molte culture convivano non significa ovviamente che questa relazione si sviluppi in un’atmosfera di armonia, ma anzi molto spesso insorgono scontri dovuti alle visioni contrastanti tra le culture: esistono quindi dei problemi “di convivenza”, che vengono spesso discussi anche nei dibattiti pubblici, come in televisione. Alcuni di questi argomenti vengono discussi in modo piuttosto frequente e sono legati alle varie religioni che sono praticate in Italia: spesso sorgono domande a proposito dell’hijab, ovvero il velo che viene indossato da molte donne musulmane, oppure a proposito della presenza del “Crocifisso” nelle aule delle scuole italiane, che viene spesso individuata come non inclusiva.
Per quanto riguarda l’hijab, molte persone pensano che sia un simbolo religioso legato all’islam, ma in realtà l’usanza di portare il velo in pubblico per le donne sposate risale alla Mesopotamia assira e all’antica Grecia. Esistono sicuramente società come quella iraniana, dove le donne sono obbligate ad indossarlo, pena sanzioni molto severe, fino alla morte, come è avvenuto alla ventiduenne Masha Amini nel settembre 2022. In paesi dove non vige un regime non esiste un obbligo formale di indossare il “velo”, ma molte donne scelgono di farlo comunque, in quanto questo gesto permette di mostrare la propria identità e di sentire una forte connessione con il Allah. Alcuni paesi occidentali, come la Francia, hanno vietato il velo islamico nei luoghi pubblici a partire dal 2011, questo ha contribuito a scoraggiare l’inclusione islamica nel paese ed la Francia è stata accusata di “islamofobia”; nei paesi dove questa usanza non è vietata, la donna che indossa l’hijab percepisce lo sguardo delle persone che la giudicano senza conoscere la sua storia e le ragioni per cui indossa il velo. Nell’immaginario occidentale infatti, indossare il velo è un simbolo di repressione e di misoginia, ma il fatto che le dirette interessate non condividano questo pensiero fa comprendere quanto poco sforzo venga fatto per cercare di maturare un dialogo ed uno sforzo di comprensione da parte delle altre culture. In questo dibattito si rischia spesso di perdere di vista il punto centrale della questione, ovvero assicurarsi che le donne abbiano libertà di espressione e credo e promuovere la coesione sociale senza preconcetti.
Discorso analogo per quanto riguarda la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole italiane: si tratta di un dibattito che divide l’opinione pubblica. Da una parte ci sono i sostenitori del crocifisso, simbolo per eccellenza della religione cristiana, che è quella più praticata e professata in Italia (non è però la religione di Stato, in quanto l’Italia è una nazione laica). D’altra parte c’è chi sostiene che siccome molto spesso nelle classi si possono trovare alunni di fede diversa, sarebbe più opportuno includere anche le loro identità presentando i simboli di più religioni, oppure evitare qualsiasi simbolo religioso nelle aule in modo da non far sentire discriminati gli studenti non cristiani. Al contrario, c’è chi pensa che essendo il cristianesimo la religione più diffusa in Italia, sia giusto che la maggioranza degli alunni sia rappresentata.
Secondo alcuni antropologi esistono ambienti in cui di frequente si riscontra una fragilità dovuta all’emergere di fattori come egoismo ed individualismo. L’unico modo per superare queste condizioni critiche, che minacciano l’armonia e la pace tra popolazioni e culture conviventi, sono l’analisi critica, il dialogo e lo sforzo reciproco di comprensione.
In questo ambiente dominato dall’incontro di multiple culture, sarebbe auspicabile raggiungere l’inclusione delle diverse identità in modo integrato all’interno di un unico contesto, caratterizzato dall’assenza di discriminazione e dalla comunicazione interculturale. La comunicazione tra le culture dovrebbe avvenire nel rispetto di quattro principi fondamentali: la tolleranza, l’empatia, l’ascolto attivo e la cura reciproca.
É evidente che spetterebbe alle culture in cui si riconosce la stragrande maggioranza della popolazione avere un’attenzione particolare nei confronti delle “identità più fragili”, ovvero quelle prive di tutela, sia dal punto di vista legislativo sia dal punto di vista sociale. Questo in quanto la cultura dominante all’interno di una determinata popolazione tende molto spesso ad imporsi sulla cultura meno rappresentata, e questo rappresenta una forma subdola di violenza a causa del fatto che le persone sono costrette a rinunciare, o almeno a “nascondere” le proprie abitudini e la propria identità in quanto la società contemporanea tende spesso ad accettare solo chi si omologa completamente alla maggioranza della popolazione. Perdere l’occasione di conoscere ed apprezzare le diverse culture con cui si potrebbe convivere vuol dire perdere un’occasione per arricchire se stessi ed allargare i propri orizzonti, per questo dovrebbe esserci una maggiore tutela nei confronti delle minoranze.
“La scelta di uno o più elementi socio-culturali come tipici delle società comprese in determinate aree, ha inoltre finito quasi sempre per creare una distinzione tra società e culture più rappresentative e meno rappresentative delle aree in questione, dove le prime sono quelle in cui gli elementi «tipici» sono stati individuati. Si corre il rischio di presentare le società più rappresentative di una certa area culturale come se si trattasse di società statiche, al di fuori della storia e sottratte a qualunque processo di trasformazione. Il fatto di privilegiare certi elementi culturali e certe società, perché più rappresentativi di una certa area culturale, comporta la messa in ombra di tanti altri elementi e di tante altre realtà sociali. La considerazione di questi ultimi dovrebbe invece favorire un’analisi più articolata e maggiormente problematica delle relazioni tra le società e le culture di quell’area medesima, e tra queste ultime e le culture e le società appartenenti ad altre aree culturali.”
(Ugo Fabietti, Elementi di antropologia culturale)