6. Gabriele D’Annunzio

1. La vita

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863, terzo di cinque figli, riceve un’educazione di ottimo livello, dapprima, nel collegio Cicognini di Prato dove suo padre lo iscrisse nel 1874. A soli sedici anni pubblica a spese del padre la raccolta di poesie Primo vere, che contiene motivi tratti dal repertorio realistico-scapigliato, dove evidente è l’ispirazione carducciana (1^ fase: ESORDI: produzione lirica e novellistica). Nell’autunno del 1881 si trasferisce a Roma: qui inizia a frequentare salotti mondani e redazioni di giornali (perfetto esempio di dandy). L’anno dopo dà alle stampe la seconda raccolta di versi, Canto novo e le novelle di Terra vergine. Nel 1883 sposa la giovane duchessa Maria Hardouin di Gallese, occasione di ascesa sociale per D’Annunzio; tuttavia, il matrimonio si concluderà con una separazione nel 1890. Dopo aver scritto altre opere in versi e in prosa a ventisei anni pubblica presso l’editore Treves a Milano il suo primo romanzo, Il piacere (2^ fase: ESTETISMO, indossa prima la maschera dell’esteta, poi del superuomo: scrive liriche e romanzi). 

Nel 1891 D’Annunzio si reca in viaggio a Napoli dove vi resterà sino al 1893; in questo periodo, oltre a scrivere nuovi romanzi come L’innocente e raccolte poetiche come Poema paradisiaco (romanzi e liriche che fanno parte della 3^ fase: DELLA BONTÀ, periodo che dura pochi anni e indica una chiusura in se stesso), scopre la filosofia di Nietzsche che esaltava la «volontà di potenza» e la musica di Wagner. Rientrato in Abruzzo compone il romanzo Le vergini delle rocce (1895), ricordato come manifesto del superomismo; D’Annunzio delinea così un nuovo personaggio ed una nuova idea di intellettuale: il dandy viene sostituito con l’individuo che si afferma attraverso l’azione eroica (4^ fase: SUPEROMISMO, improntata al panismo). In questo periodo si dedica anche al teatro, motivo per cui instaura una relazione con l’attrice Eleonora Duse (1858-1924), e compone drammi come La città morta (1896). Nel 1897 dà avvio ad una breve carriera politica: viene eletto deputato della destra e dopo tre anni passa invece al partito della sinistra (vate della patria).   

Nello stesso periodo D’Annunzio si stabilisce in Toscana, nella villa La Capponcina dove dilapida il proprio patrimonio, ma, nello stesso tempo nel 1903 pubblica uno dei suoi capolavori poetici: i primi tre libri del ciclo delle Laudi (Maia, Elettra, Alcyone). Morto Carducci nel 1907 si autoproclama suo erede e si trasferisce a Parigi (1910) per sottrarsi ai vari debiti. Qui si ferma fino al 1915, anno in cui scoppia la guerra e il poeta rientra in patria per iniziare una campagna a favore dell’intervento in guerra: l’anno successivo si arruola come volontario, compie incursioni aeree dove, in una di queste, resta ferito gravemente all’occhio destro, incidente che determinerà la perdita parziale della vista. 

È questa l’origine della prosa lirica intitolata Notturno e che sarà pubblicata nel 1921 (5^ fase: NOTTURNO, dove punta più ad una analisi interiore che a ciò che è visibile). A guerra conclusa il 12 settembre 1919 conquista la città di Fiume, la cui città verrà abbandonata dall’autore solo nel dicembre dell’anno successivo; dopo questa impresa si ritira sul lago di Garda, a villa Cargnacco, che trasformerà nel Vittoriale degli Italiani. Muore il primo marzo 1938. 

2. Il pensiero e la poetica

D’Annunzio concepisce la propria vita come un’opera d’arte lanciando ogni iniziativa con sfrenato esibizionismo; il poeta è l’essere unico, inimitabile, raffinato esteta o uomo d’azione; l’intento è quello di riaffermare la centralità dell’artista nella moderna società borghese e riproporre una concezione tradizionale della poesia come valore assoluto. Egli non rinuncia mai al proprio egocentrismo, alla celebrazione delle proprie esperienze e alla ricerca continua del piacere

1^ FASE

L’esordio poetico avviene all’insegna di Carducci con la prima raccolta, Primo vere (1879): qui troviamo anche alcune traduzioni di poeti latini e greci; una fase in cui D’Annunzio si confronta anche con la tradizione classica. In questa prima fase, detta “giovanile”, sentiamo l’influenza anche di Verga da cui riprende i paesaggi campestri o alcune tecniche stilistiche come l’uso del discorso indiretto libero. In queste prime opere, si aggiunge l’influenza dei grandi modelli romantici come Victor Hugo e Baudelaire: il Simbolismo pervade l’esperienza poetica dannunziana (l’artista è una figura quasi divina che crea il mondo con la parola).

2^ FASE

Il poeta interpreta l’Estetismo della sua ricerca artistica, che culmina con la stesura del Piacere. Egli individua nell’Estetismo una possibile soluzione all’inciviltà della moderna società borghese e capitalistica; nonostante questo, l’esteta dannunziano non può coprire le debolezze del mondo, è destinato alla solitudine e alla sconfitta. Per questo motivo, i personaggi di questa fase incarnano la figura di un esteta sconfitto, di un inetto, incapace di agire e vivere da protagonista il proprio tempo.  Sul piano della forma, opta per soluzioni lessicali, sintattiche e retoriche che privilegiano i toni sostenuti: funzionale a questo scopo è il ricorso a termini desueti (in questa fase D’Annunzio mostra disprezzo per le masse, ma le sfrutta per vendere le opere).

3^ FASE

La fase della bontà è una fase transitoria durata pochi anni in cui si rivolge a tematiche più intimenella ricerca di una purezza primordiale. Il ripiegamento malinconico matura durante il soggiorno napoletano, quando il poeta percepisce un senso di sconforto e di solitudine. In questa fase i protagonisti delle sue opere sono gli umili e gli inermi abbandonando, invece, la figura dell’intellettuale che cerca rifugio nel piacere di una dimensione estetica. Nelle liriche del Poema paradisiaco, lo stile vuole riecheggiare un recupero dell’innocenza e darà spunto ai poeti “Crepuscolari”.  

4^ FASE

A partire dal 1893, dopo la lettura di Friedrich Nietzsche, D’Annunzio elabora una nuova idea di intellettuale: l’artista dotato di forte volontà che ancora guarda alla bellezza come modello assoluto. Il superuomo è un individuo eccezionale al quale spetta il diritto di opporsi alla realtà borghese per realizzare il dominio secondo la propria volontà; egli è un eletto, uno spirito superiore e violento. Mentre nel filosofo tedesco il superuomo è colui che esercita una volontà di potenza non per dominare gli altri, ma per creare nuovi significati alla vita; per D’Annunzio il superuomo è consapevole della propria forza e lotta per affermare se stesso e dominare sulle masse

5^ FASE

Dal 1916 ha inizio il periodo “notturno” che è la fase degli ultimi anni, dove il poeta cerca di analizzare e mettere a nudo la propria interiorità. D’Annunzio reinterpreta la poetica del superomismo, realizzando ora se stesso nell’unione tra l’elemento umano e quello naturale (panismo). I temi di quest’ultima fase sono l’ossessione per la vecchiaia, la contemplazione della morte, l’esplorazione dell’ignoto. A causa della temporanea cecità, dovuta all’incidente aereo, il poeta scopre “nuove sensazioni” facendo in modo che la parola conservi le caratteristiche del poeta veggente a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura.

3. Il piacereLe vergini delle rocce, le Laudi

Il piacere, pubblicato nel 1889, è il suo primo romanzo: insieme ai successivi L’innocente (1892) e Trionfo della morte (1894) sarà poi riunito dallo scrittore in un unico ciclo narrativo, I romanzi della rosa (il fiore rappresenta l’amore sensuale). Il protagonista Andrea Sperelli è una figura autobiografica, il tipico esteta decadente diviso fra due donne che rappresentano i due aspetti opposti, Elena Muti (donna fatale) e Maria Ferres (donna angelicata), che disprezza la società borghese contemporanea ed è “vuoto” dal punto di vista morale; al contrario, è acculturato, pensa all’arte e alla bellezza e vuole fare della sua vita un’opera d’arte (dandy). La sua esistenza di esteta fallito ne mette a nudo il senso di nullità che pervade la sua stessa vita e la sua inadeguatezza di fronte alla società moderna; D’Annunzio, dunque, riconosce che l’esteta nella realtà dei fatti è destinato a fallire. La vicenda è ambientata in una Roma barocca frivola e vuota, non si tratta né della Roma classica, né di quella rinascimentale. 

Infine, l’atteggiamento dell’autore nei confronti del protagonista è ambivalente: talvolta lo giudica per la sua eccessiva lussuria; talvolta lo ammira, riconoscendosi in lui.

Il romanzo Le vergine delle rocce viene pubblicato nel 1896, il cui titolo richiama il quadro Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci conservato al Louvre. L’opera è narrata dal protagonista, Claudio Cantelmo, nobile abruzzese ed esteta che disprezza la realtà borghese e il liberalismo politico e sogna la nascita di un uomo potente, da lui generato, che guidi l’Italia verso destini imperiali. Da Roma si trasferisce presso la sua terra d’origine in Abruzzo per unirsi ad una donna: fa visita ad una famiglia siciliana aristocratica, restando a lungo indeciso su chi scegliere fra le tre sorelle vergini (è un esteta perché le sceglierebbe tutte e tre), ciascuna delle quali presenta caratteristiche che egli cerca. Alla fine sceglie quella più adatta al suo scopo; ma lei si rifiuta perché costretta a prendersi cura del padre (fallimento del superuomo). Nel momento in cui il poeta teorizza il ruolo del nuovo intellettuale, ne registra subito l’impossibilità di agire sulla realtà. Nel suo manifesto ideologico, il protagonista-poeta non propone un programma che prenda spunto dal passato; quello del superuomo sarà un messaggio concreto rivolto ai poeti e agli intellettuali, attribuendo, dunque, una funzione pratica e politica alla letteratura. 

Il ciclo delle Laudi è un progetto poetico avviato nel 1899 che avrebbe dovuto comprendere originariamente sette libri, tuttavia, gli ultimi due non furono mai composti e si fermò ai primi cinque a cui diede il nome dalle stelle delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope (i primi quattro libri furono pubblicati da D’Annunzio, l’ultimo, invece, venne pubblicato postumo nel 1949). 

Il primo volume delle Laudi, Maiacompare nel 1903 e si presenta come un poema unitario che racconta di un viaggio in Grecia in cui compare la figura di Ulisse che assume le sembianze del superuomo (D’Annunzio ha per davvero fatto un viaggio in Grecia nel 1895). Sin dal componimento di esordio, capiamo che, il motivo che percorre l’intera raccolta, è quello dell’impresa eroica e della celebrazione della vita attraverso la comunione dell’io con la natura

Il secondo volume, Elettra, compare anch’esso nel 1903. In questo libro l’autore fa una propaganda politica rievocando il passato glorioso dell’Italia e proclamandosi poeta vate. D’Annunzio celebra Dante, Vittorio Emanuele III, Garibaldi, Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi, Victor Hugo… Il ricordo si fonde con l’attesa dell’eroe che guidi una nuova Italia.

Il terzo volume, Alcyone, pubblicato insieme al precedente nel 1903, sembra apparentemente diverso rispetto ai primi due libri: il contenuto non è più politico, ma lirico; il poeta si immerge nella natura per contemplarla (panismo). Le liriche di questo volume (88) sono scritte fra il 1899 e il 1903 strutturate come un diario poetico di un’esperienza realmente vissuta: un viaggio iniziato in primavera sino al mese di settembre del 1902 dai colli di Fiesole fino alle coste del Tirreno. Il poeta si spoglia della dimensione umana, ne oltrepassa i limiti, impadronendosi della nascosta energia della natura, da cui acquista una nuova forza: il poeta si fonde con il mare, i fiumi, la pioggia, gli alberi. Il libro è diviso in cinque sezioni tutte caratterizzate da linguaggio allusivo, dove la parola poetica è l’unico accesso che può condurre alla piena percezione della totalità della natura, e da musicalità (poesia pura); tra i temi, oltre al panismo, troviamo il silenzio e l’ascolto contemporaneamente, il motivo dell’acqua e dello scorrere del tempo, il tema dell’importanza della parola e il tema mitologico (quest’ultimo sin dal titolo poiché Alcyone, oltre ad essere un nome delle Pleiadi, è anche un nome mitologico greco poiché è la figlia di Eolo, re dei venti).  

Il quarto libro, Merope, vede la luce solo nel 1912 ed è ispirato alla Guerra di Libia. Le dieci canzoni che costituiscono questo libro parlano dell’interventismo e del colonialismo e sono una celebrazione dell’impresa militare italiana.         

Il quinto e ultimo libro delle Laudi, Asteropecomprende versi scritti fra il 1914 e 1918, tutti ispirati alla Prima guerra mondiale e pubblicati postumi nel 1949. D’Annunzio in queste poesie celebra la guerra come sacrificio per la patria e come gesto eroico.

4. La prosa e il teatro

L’ultima fase della produzione di D’Annunzio registra opere dove si percepisce l’ansia per l’avvicinarsi della morte; la scrittura è di tipo autobiografico e introspettivo. Tra il 1911 e il 1914 inizia a pubblicare sul «Corriere della sera» delle brevi prose di carattere lirico, che chiama “faville” che riunirà poi in due tomi separati, Il venturiero senza ventura e Il compagno dagli occhi senza cigli, sotto il titolo unico Le faville del maglio, il cui titolo è una metafora per la creazione nell’“officina” poetica. 

Allo stesso genere di scrittura appartengono altre opere in prosa, tra queste, il lungo racconto intitolato La Leda senza cigno (1916): la protagonista è una figura femminile bella e misteriosa che vive una tragica esistenza segnata dalla rovina economica e da un uomo che la ricatta fino a costringerla al suicidio. 

Un altro scritto in prosa è Notturno, pubblicato nel 1921, in seguito al periodo di immobilità con gli occhi bendati prescrittogli postumo all’incidente in aereo (gennaio 1916), che gli ha riportato un grave trauma all’occhio destro; D’Annunzio qui riporta una serie di pensieriricordidescrizionivisioni su infinite strisce di carta (“cartigli”). In questa raccolta a predominare è il tema funebre con la riflessione intorno alla morte di amici in guerra, ma anche la descrizione delle esperienze sensoriali che sostituiscono la vista e la memoria. Lo stile è frammentario, ridotto all’essenziale, paratattico e articolato in frasi concise. 

D’Annunzio sin dagli ultimi anni dell’Ottocento si dedica anche ad una produzione destinata al teatronella quale confluiscono messaggi superomistici e passioni logoranti. Con l’intento di realizzare un teatro in versi porta sulla scena La città morta (1898), La gloria (1899), Francesca da Rimini (1901), La nave (1908), La figlia di Iorio (1904). Quest’ultima, ambientata nel selvaggio Abruzzo primitivo in cui predomina uno spazio superstizioso, vede come protagonista Mila di Codra, considerata da tutti una strega e destinata a morire sul rogo poiché lei stessa si autoaccusa.

5. Analisi dei seguenti testi

LA PIOGGIA NEL PINETO

METRO: quattro strofe di 32 versi di varia misura (settenari, ottonari, novenari, ma anche versi brevissimi) e liberamente rimati.

TESTO 

Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove su i pini

scagliosi ed irti,

piove su i mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t’illuse, che oggi m’illude,

o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitìo che dura

e varia nell’aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

nè il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancóra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d’arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, ascolta. L’accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall’umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s’allenta, si spegne.

Sola una nota

ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.

Non s’ode voce del mare.

Or s’ode su tutta la fronda

crosciare

l’argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell’aria

è muta; ma la figlia

del limo lontana,

la rana,

canta nell’ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sìche par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pesca

intatta,

tra le pàlpebre gli occhi

son come polle tra l’erbe,

i denti negli alvèoli

con come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i mallèoli

c’intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri vólti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m’illuse, che oggi t’illude,

o Ermione.

ANALISI

La poesia fu composta nell’estate del 1902; il motivo è una passeggiata senza meta lungo una pineta del litorale pisano dove il poeta è accompagnato dalla donna amata, Ermione (nome mitologico greco: figlia di Elena e Menelao; per il poeta Ermione è Eleonora Duse) e insieme ascoltano il rumore della pioggia sulle foglie: la segreta armonia della natura li inebria a tal punto da trasformarsi loro stessi in elementi vegetali (metamorfosi panica). L’ispirazione nasce da uno spunto narrativo: l’acquazzone estivo che bagna il poeta e la sua compagna e che viene subito trasfigurato nella dimensione mitica della fusione con la natura (privilegio riservato solo a creature superiori). Si noti nella poesia un mutare del ritmo, garantito dal frequente uso di enjambements che scandiscono e dilatano il verso.   

v. 1 Taci: il poeta si rivolge direttamente alla donna. 

v. 5 nuove è latinismo per “straordinarie”. 

v. 6 parlano: il soggetto è «gocciole e foglie». 

v. 10 tamerici: arbusti sempreverdi tipici della macchia mediterranea.

v. 11 salmastre ed arse: impregnate di sale marino e riarse dal sole.

v. 13 scagliosi ed irti: pieni di scaglie per la corteccia e pungenti per le foglie aghiformi.

vv. 14-15 mirti: arbusti sempreverdi, con foglie ovali che crescono nei pressi del mare. Al verso successivo l’attributo del termine è divini, questo perché il mirto è una pianta sacra a Venere, dea dell’amore.

v. 16 fulgenti è latinismo per “splendenti” a causa dei loro fiori gialli.

v. 19 coccole aulenti: bacche profumate; si noti l’assonanza della o e della e nell’espressione.

v. 21 silvani: fatti come la selva; comincia la metamorfosi delle due figure umane, trasformati in elementi vegetali.

v. 24 vestimenti è sinonimo aulico di “vestiti”. 

v. 27 il verbo «schiudere» è in genere utilizzato per i fiori. 

v. 29 favola bella: sogno d’amore.

vv. 34-35 solitaria verdura: la vegetazione deserta della pineta.

v. 36 crepitìo: il rumore secco prodotto dalla pioggia di intensità diversa a seconda delle foglie su cui cade (onomatopea).

v. 41 al pianto: al cadere della pioggia (metafora del pianto e personificazione della pioggia).

v. 43 australe: vento che spira da sud.

v. 45 cinerino: colore della cenere, a causa delle nuvole.

vv. 49-51 stromenti… dita: le piante, a contatto con la pioggia, producono suoni diversi, come fossero strumenti musicali suonati da diverse mani.

v. 55 d’arborea vita viventi: partecipi della vita del bosco.

v. 56 ebro è variante colta di “ebbro”.

v. 60 auliscano: “profumano”; richiama, inoltre, l’aggettivo «aulenti» del v. 19.

v. 62 creatura terrestre: Ermione è ormai pianta, nata dalla terra e dagli alberi. 

v. 66 aeree: perché le cicale cantano sui rami degli alberi.

vv. 69-70 il pianto che cresce: la pioggia che diventa più intensa (continua la metafora del pianto introdotta al v. 41). 

v. 71 un canto vi si mesce: al canto delle cicale si unisce quello più rauco delle rane.

v. 74 remota: lontana.

v. 82 crosciareonomatopea.

v. 83 argentea: la pioggia sembra di color argento a causa dei suoi sottili fili luminosi; inoltre, l’aggettivo richiama anche il rumore “metallico” prodotto dalla caduta della pioggia. 

v. 84 monda: pulisce, purifica.

v. 85 croscioonomatopea.

v. 89 la figlia dell’aria: la cicala. 

vv. 90-91 la figlia del limo: la figlia del fango (la rana); limo è voce poetica per “fango”. 

vv. 95-97 E piove… ciglia nereanadiplosi.

v. 100 virente è latinismo per verdeggiante.

v. 101 scorza: corteccia.

v. 103 aulenteaggettivo letterario per “profumata”.

v. 107 polle: sorgenti d’acqua pura.

v. 108 alvèoli: piccole cavità delle gengive dove si radicano i denti.

v. 110 di fratta in fratta: attraverso i cespugli della pineta. 

v. 112 verde vigor rude: i verdi rami aggrovigliati tenacemente. È un’immagine suggestiva anche a livello fonico (consonanzev/r): il termine vigor dà l’idea della forza dei rami, che avvolgono le gambe dei personaggi; rude richiama l’aspetto selvaggio della vegetazione. 

v. 113 mallèoli: caviglie.

v. 114 c’intrica: ci avvolge, impedendo il movimento delle ginocchia.

ripetizioni piove (torna nel testo dieci volte sempre a inizio frase); su (venti volte); odire (cinque volte); anafora di nella seconda e quarta strofa; si spegne (tre volte nella terza strofa); ogni strofa si chiude con il nome di Ermione.

lessico dell’area semantica del suono: suono, stromenti, accordo, canto, nota, canta.

rime e varia nell’aria (v. 37); al pianto il canto (v. 41).

poliptoto t’illuse… m’illude m’illuse… t’illude che chiude, in inversione, la prima e l’ultima strofa.

LA SERA FIESOLANA

METRO: tre strofe di 14 versi ciascuna di varia lunghezza con rime libere. Ogni strofa è seguita da tre versi (in lode della sera), il primo dei quali è in rima con l’ultimo della strofa precedente. 

TESTO   

Fresche le mie parole ne la sera

ti sien come il fruscìo che fan le foglie

del gelso ne la man di chi le coglie

silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta

su l’alta scala che s’annera

contro il fusto che s’inargenta

con le sue rame spoglie

mentre la Luna è prossima a le soglie

cerule e par che innanzi a sé distenda un velo

ove il nostro sogno si giace

e par che la campagna già si senta

da lei sommersa nel notturno gelo

e da lei beva la sperata pace

senza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,

o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace

l’acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la sera

ti sien come la pioggia che bruiva

tepida e fuggitiva,

commiato lacrimoso de la primavera,

su i gelsi e su gli olmi e su le viti

e su i pini dai novelli rosei diti

che giocano con l’aura che si perde,

e su ’l grano che non è biondo ancóra

e non è verde,

e su ’l fieno che già patì la falce

e trascolora,

e su gli olivi, su i fratelli olivi

che fan di santità pallidi i clivi

e sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,

o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce

il fien che odora!

Io ti dirò verso quali reami

d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti

eterne a l’ombra de gli antichi rami

parlano nel mistero sacro dei monti;

e ti dirò per qual segreto

le colline su i limpidi orizzonti

s’incùrvino come labbra che un divieto

chiuda, e perché la volontà di dire

le faccia belle

oltre ogni uman desire

e nel silenzio lor sempre novelle

consolatrici, sì che pare

che ogni sera l’anima le possa amare

d’amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte,

o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare

le prime stelle!

ANALISI

Composta nel giugno 1899 nella villa La Capponcina, la lirica trae spunto da un viaggio con Eleonora Duse ad Assisi. Si tratta della prima delle composizioni di Alcyone in senso cronologico; la lirica viene pubblicata per la prima volta nel novembre dello stesso anno (1899) sulla rivista Nuova Antologia. D’Annunzio rielabora gli appunti presi durante l’itinerario, ma sposta la scena a Fiesole: qui, in una sera di giugno, il poeta e la donna amata contemplano il crepuscolo. La poesia vuole essere una celebrazione della sera: la forma ricorda la laude di S. Francesco sia per la forma di apertura delle tre “code” che seguono ogni strofa (Laudata sii), sia per il termine francescano riportato al v. 29 «fratelli», sia per l’immagine della «pura morte» che richiama la lode a Dio.  

v. 2 ti sien: ti procurino (il poeta si rivolge alla donna); la stessa espressione tornerà al v. 19. Si noti in questo verso l’allitterazione della che si configura come onomatopea ma anche come una sinestesia con il verso precedente.

v. 3 le coglie: le strappa (operazione che veniva compiuta a giugno).

vv. 5-6 D’Annunzio descrive l’effetto del gioco di luce prodotto dalla luna.

v. 7 le sue rame: i suoi rami. 

vv. 8-9 soglie cerule: il cielo è diventato di un colore azzurro chiaro perché la luna sta sorgendo; inoltre,cerule è termine poetico. L’espressione distenda un velo è una metafora: indica il diffuso chiarore che illumina piano piano il cielo.

v. 10 si giace: si placa (si tratta del sogno d’amore di cui si parla nell’ultima strofa).

v. 12 da lei si riferisce alla luna; notturno gelo è la rugiada (reminiscenza dantescaInf., II, 127).

v. 13 beva la sperata pace: trovi il refrigerio atteso (dopo una giornata calda).

vv. 15-16 per… perlapersonificazione della sera rappresentata come una donna dal volto pallido, ma luminoso. La personificazione continua al verso successivo grandi… occhi, figura con la quale il poeta indica l’umidità tipica dell’ora del tramonto. 

v. 17 l’acqua del cielo: pioggia. 

v. 19 bruiva: crepitava. 

v. 20 tepida al posto del più comune “tiepida” e fuggitiva perché la pioggia di giugno dura poco.

v. 21 commiato… la primaveraapposizione di pioggia. 

v. 23 dai novelli rosei diti: le nuove gemme dei pini, di colore rosato (conferma che siamo all’inizio dell’estate).

v. 24 l’aura che si perde: la brezza che svanisce.

v. 25 biondo sta per “maturo”.   

v. 28 trascolora: scolorisce (seccandosi, il fieno ingiallisce).

vv. 30-31 in questi versi troviamo un’immagine suggestiva: il pallore indica la purezza; l’immagine del sorriso allude al verde scuro su un lato e chiaro dall’altro delle foglie degli ulivi, in modo che quando sono scosse dal vento creano un effetto di luminosità. Il termine clivi è aulico per “colli”. 

v. 32 aulentiaggettivo letterario per “profumati”; nuova personificazione della sera.

vv. 33-34 pel cinto… odora: la cintura a cui allude il poeta è la linea dell’orizzonte che racchiude il paesaggio serale; si noti l’insistenza sulle sensazioni olfattive

vv. 35-36 reami d’amor: la metafora allude al legame amoroso tra il poeta e la donna, Ermione. Il fiume è l’Arno, che scorre nei pressi di Fiesole. 

v. 38 mistero sacro dei monti: la natura racchiude un segreto misterioso che solo il poeta, con la sua acuta sensibilità, può cogliere. 

v. 39 torna il ti dirò del v. 35.

vv. 41-42 che un divieto chiuda: le colline sono assimilate a una donna, dalle labbra misteriosamente chiuse. 

v. 44 desire: desiderio.

vv. 47-48 amare d’amorfigura etimologica

v. 49 l’espressione pura morte indica il lento passaggio all’oscurità della notte serena.

v. 50 in te: nel tuo cielo. 

enjambements vv. 2-3; vv. 3-4; vv. 8-9; vv. 16-17; vv. 36-37; vv. 41-42; vv. 50-51.

rime sera s’annera; fogliecoglie; spogliesoglie. 

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