1. M. Montessori
Maria Montessori (1870 – 1952) nasce in provincia di Ancona, per poi trasferirsi con la famiglia a Roma, dove si iscrive all’Università, passando da scienze a Medicina, dove consegue la sua prima laurea nel 1896. In seguito si iscrive anche alla facoltà di filosofia. Già dai tempi dell’università si avvicina all’ambito psichiatrico, e decide di svolgere la tesi in psichiatria. Dal conseguimento della laurea in poi si verifica un periodo in cui Montessori si avvicina al femminismo e al concetto di emancipazione femminile, per cui partecipa a diversi congressi internazionali. A partire dal 1898 esercita la professione medica in manicomio e s’interessa di pedagogia, con particolare attenzione ai bambini “deficienti”, per i quali propone l’educazione durante il Congresso pedagogico di Torino. I bambini di cui si occupa sono affetti da frenastenia, ovvero insufficienza mentale.
A partire dal 1900 diventa professoressa di Antropologia ed Igiene, e pubblica le sue ricerche antropologiche nel volume “Antropologia pedagogica” (1910). Diventando sempre più esperta di pedagogia riesce a fondare due Case dei Bambini (1907) e basandosi sull’esperienza acquisita in questo ambito pubblica “Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione dell’infanzia nelle Case dei Bambini” (1909).
A partire dal 1913 compie più viaggi negli Stati Uniti, dove le sue teorie vengono molto apprezzate dagli educatori; nel primo dopoguerra, le sue idee vengono condivise anche dal fascismo, con il quale ha un rapporto inizialmente di favore, poi di rottura. Le idee di libertà ed uguaglianza sostenute da Maria Montessori sono contrapposte agli ideali fascisti. Nel 1934 lascia l’Italia per vivere in Spagna, in Olanda ed anche in India, dove si trova quando scoppia la seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto torna in Europa, e viene candidata dal 1949 al 1951 al Premio Nobel per la Pace.
Dalle sue esperienze con i bambini frenastenici matura un’importante pensiero, come ella stessa sostiene, estremamente innovativo per i tempi: “A differenza dei miei colleghi, ebbi l’intuizione che la questione dei deficienti fosse prevalentemente pedagogica, anzichè prevalentemente medica”.
Montessori studia il metodo di Séguin ed il suo materiale didattico, che la ispirano a perfezionare il proprio materiale strutturato, predefinito. Gli oggetti che lo compongono favoriscono l’educazione sensoriale: un oggetto é composto da tante qualità ma bisogna isolarne una in particolare per ottenere le gradazioni che sono peculiari proprio del materiale montessoriano. “Il materiale sensoriale é costituito da sistemi di oggetti raggruppati secondo una determinata qualità fisica dei corpi – come colore, forma, dimensione, suono, stato di ruvidezza, peso, temperatura.” Questo materiale è auto-correttivo, ovvero il bambino si rende conto subito da solo degli errori, ad esempio se non avvengono gli incastri nelle forme e dimensioni corrette. L’educazione sensoriale permette di giungere all’educazione intellettuale nella scrittura, nella lettura, nell’aritmetica e nel disegno: l’apprendimento inizia nella Casa dei bambini e continua senza interruzione nella scuola elementare.
La formazione scientifica di Montessori influenza sicuramente il suo metodo, orientato in senso chiaramente positivistico; tuttavia, nonostante l’attenzione alla scienza, ella prende le distanze dal positivismo, in linea con le correnti di pensiero del primo Novecento, come il modernismo ed il vitalismo. L’educazione non deve quindi essere scientifica, ma piuttosto seguire lo spirito della ricerca scientifica. Ciò che Montessori insegna quindi ai maestri non sono le nozioni in sé, ma piuttosto la formazione al metodo scientifico. Il maestro infatti osserva e guida lo sviluppo del bambino, come farebbe uno scienziato, ma allo stesso tempo dev’essere umile e rispettoso come “un tale mistico”.
Per permettere all’insegnante di esercitare il suo compito e permettere anche al bambino la libera attività è necessario avere a disposizione il luogo adatto, che nel caso dei più piccoli è la Casa del bambino, molto diversa anche dal punto di vista dell’arredamento rispetto alle canoniche scuole dell’infanzia. Nell’istituto montessoriano il banco viene abolito, in quanto oggetto che immobilizza il bambino e non gli permette di muoversi in libertà; sono invece presenti piccoli banchi leggerissimi e facili da trasportare, seggiole e poltrone, tavoli, credenze e lavabi, tutto di dimensione proporzionata ai bambini. In questo modo possono compiere attività della vita quotidiana, come occuparsi della tavola e del lavaggio dei piatti, che sono attività che li aiutano a sviluppare il senso sociale.
Anche il ruolo della maestra cambia rispetto al passato: si parla infatti di “direttrice” che sceglie il materiale didattico per il fanciullo e gli dimostra un paio di volte come usarlo. Dopodichè l’insegnante non interviene continuamente correggendo l’attività, come invece facevano le maestre di una volta, ma lascia l’alunno libero di lavorare in autonomia. Dare libertà al bambino non significa abbandonarlo, ma favorire il suo naturale sviluppo e la preparazione all’ambiente.
Secondo Montessori la mente del bambino può essere definita “inconscia”, ricca di intelligenza, ma non “cosciente”, aggettivo che invece caratterizza la mente adulta. Il bambino mostra spesso un entusiasmo ed un interesse notevole per il mondo che lo circonda: questo gli permette di apprendere in modo inconsapevole, e di passare piano piano dalla mente “inconscia” alla mente “cosciente”. A differenza dell’adulto il bambino apprende attraverso la vita psichica, e non attraverso l’intelligenza. Le impressioni formano la mente del bambino, e a questo proposito Montessori spiega il concetto della mente assorbente: “In nessuna altra età della vita si ha maggior bisogno di un aiuto intelligente come in questo e ogni ostacolo che si frapponga allora al bambino verrà a diminuire le possibilità di perfezionamento della sua opera creativa. Noi aiuteremo dunque il bambino non più perché lo consideriamo un essere piccolo e debole, ma perché egli è dotato di grandi energie creative, che sono di natura così fragile da richiedere – per non venir menomate e ferite – una difesa amorosa e intelligente”.
In particolare Montessori parla del primo periodo post-natale come un lasso di tempo in cui, a livello psichico, si verifica ciò che avviene a livello fisico nell’embrione: si parla in questo caso di Embrione Spirituale.
Anzichè ricordare le esperienze vissute, il bambino le incarna ed il fanciullo ne è trasformato, la sua mente viene plasmata in questo modo. La sensibilità interiore permette di relazionarsi con il mondo esterno in modo molto intenso, ed esistono momenti in cui il bambino è più sensibile ad alcuni fatti ed indifferente ad altri. Questo concetto viene definito con il termine di “periodo sensitivo”, ovvero esistono momenti transitori in cui il bambino è particolarmente attento a determinati aspetti perché sta sviluppando un carattere; una volta che questo è stato acquisito termina la fase di sensibilità e si passa a quella successiva. Nel momento in cui il bambino viene ostacolato o perturbato dalla direttrice (ad esempio, ella potrebbe scambiare un periodo sensitivo per “capricci”) durante il suo periodo di sensibilità l’occasione di acquisire il nuovo carattere è persa per sempre.
Maria Montessori sostiene che l’educatore debba rispettare il bambino ed uscire dalla logica di tirannia e oppressione esercitata per secoli sui bambini proprio da parte degli adulti. La visione che è stata perpetrata per molto tempo è definita “adultocentrica”, quindi a misura di adulto. Montessori è una dei primi pedagogisti a difendere i diritti sociali dell’infanzia, purtroppo quasi sempre resi invisibili dall’adulto stesso. Nel corso degli anni sono stati fatti dei passi in avanti molto evidenti in materia di diritti infantili, ed il merito di Montessori dev’essere riconosciuto. Attualmente si fa riferimento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha approvato la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989), la quale sanciva per la prima volta che tutti i bambini godono di alcuni diritti fondamentali:
- il diritto alla parità di trattamento;
- il diritto alla salvaguardia del benessere;
- il diritto alla vita e allo sviluppo;
- il diritto all’ascolto e alla partecipazione.
Dai sei ai dodici anni Montessori propone un’Educazione Cosmica, che si fonda sull’acquisizione di sintonia con la natura e consapevolezza di un destino cosmico: per questo motivo le materie insegnate sono correlate all’origine dell’universo e della Terra, alla società umana e al suo sviluppo. Montessori si occupa di educazione alla pace e alla fraternità, venendo in seguito candidata più volte al Nobel per la Pace. Il suo metodo per altro si applica anche all’educazione cattolica e religiosa in generale, ed incoraggia i bambini a partecipare alla liturgia. La forte educazione e fede cattolica della pedagogista si palesa anche nel parallelismo continuo tra la Casa dei bambini e la Chiesa dei bambini, che mira a far sviluppare un senso spirituale nel bambino, una sensibilità religiosa.
Il metodo Montessori viene molto apprezzato negli ambienti democratici, progressisti, laici e religiosi, mentre non riscontra favori negli ambiti più chiusi, come quello dei fondamentalisti religiosi. Alcuni autori che la criticano maggiormente sono Dewey, Claparède, gli herbartiani ed i froebeliani. Il contributo fornito da questa nuova pedagogia è innegabile e ancora oggi molto influente, in quanto in tutti i continenti sono presenti le Case dei bambini e varie Associazioni montessoriane.
2. E. Claparède
Édouard Claparède (1873 – 1940) nasce a Ginevra in una famiglia di religione calvinista (il calvinismo è una confessione religiosa del protestantesimo). Durante la giovinezza si iscrive alla facoltà di Scienze di Ginevra, per poi appassionarsi alla psicologia, sicuramente influenzato dalla florida attività del noto cugino Théodore Flournoy, medico e psicologo. A sua volta Claparède s’iscrive alla facoltà di Medicina e si laurea nel 1892 a Ginevra. Dopo aver costruito una famiglia, si trasferisce con essa a Parigi, dove approfondisce gli studi sulla neurologia. Per quanto riguarda la sua ideologia, Claparède è considerato un esponente del funzionalismo e rientra nell’ideologia dell’attivismo pedagogico, che si concretizza nell’esperienza delle “scuole nuove” in Europa e negli Stati Uniti.
Nonostante i molti interessi, decide di focalizzarsi sulla psicologia biologica con interesse particolare verso l’educazione infantile, come spiega nel 1903 nella sua opera “Association des idées”. Dal punto di vista accademico è un professionista brillante, che vanta la stesura di centinaia di testi di forme diverse, come saggi, recensioni, interventi durante le molteplici Conferenze che tiene in Europa. Durante la sua carriera dirige diverse riviste, il laboratorio di psicologia sperimentale dell’Università di Ginevra e fonda l’Istituto Jean Jacques Rousseau (1912) insieme a Pierre Bovet. Qui collabora in seguito anche con Piaget. Questo istituto diventa un polo centrale per lo studio della pedagogia, psicologia infantile e scienze dell’educazione. Il motto di questo istituto è “discat a puero magister”, ovvero il maestro impari dal fanciullo, e riassume molto bene l’ideologia che prevale nelle opere e nella filosofia di Claparède: il fanciullo deve essere posto al centro dell’attività formativa, la quale deve essere costruita attorno a lui e alle sue esigenze (ritorna in concetto del puerocentrismo).
Le tre concezioni della psicologia individuate da Claparéde:
- strutturale (concezione analitica, anatomica). Indaga gli elementi della vita mentale: il substrato del pensiero (immagini verbali, conoscenza di relazioni ecc.); la struttura (le componenti elementari) delle emozioni.
- meccanicistica (concezione analitica, fisiologica). Indaga le operazioni mentali: le operazioni mentali complesse che intervengono nella condotta (nel comportamento); i meccanicismi delle operazioni intellettive;
- funzionale (concezione sintetica, globale, biologica). Indaga i processi psichici in rapporto all’insieme dell’organismo: i bisogni a cui rispondono i processi psichici; la funzione del pensiero nel processo di adattamento all’ambiente fisico e sociale.
Insieme agli altri pedagogisti attivisti Claparède si pone in contrasto con i pedagogisti della scuola tradizionale, proponendo di attribuire al bambino un ruolo attivo all’interno della sua stessa formazione, sollecitandone gli interessi e ponendolo in un ambiente favorevole allo sviluppo e alla crescita personale, evitando forme di controllo autoritario e favorendo lo studio della psicologia, che deve andare di pari passo con quello della pedagogia. Claparède si definisce più che un attivista un funzionalista: egli considera le attività mentali come delle funzioni che rispondono ai bisogni e permettono l’adattamento all’ambiente da parte dell’individuo. I funzionalisti non analizzano in modo compartimentalizzato le varie funzioni mentali, ma piuttosto si concentrano sul modo in cui queste sono state selezionate nel corso dell’evoluzione dell’essere umano.
Il ruolo dell’insegnante all’interno della logica funzionalista è quello di capire quali sono i bisogni e gli interessi di ogni singolo alunno, per permettere che l’educazione sia un’ottimale risposta ai bisogni di ogni singolo individuo. Per riuscire ad essere efficace l’educatore deve essere in grado di suscitare nel bambino un interesse tale da superare la repulsione allo sforzo, e per fare ciò è fondamentale il ruolo del gioco.
La psicologia funzionale è quindi la disciplina che studia la relazione tra ambiente e persone, e studia i fenomeni dell’adattamento al mondo circostante. Questo concetto è approfondito ad esempio nell’opera “L’educazione funzionale” (1931), in cui descrive ogni individuo come un organismo che punta a conservarsi e a ripristinare gli equilibri spezzati; sono proprio gli equilibri spezzati che fanno nascere il bisogno, che determina la nascita delle attività mentali. Secondo il pedagogista, l’uomo è spinto a compiere delle azioni se manifesta un bisogno o in risposta ad un interesse, e ciò è anche valido per i bambini (“legge del bisogno”).
Il concetto di scuola su misura basata sulle attitudini degli scolari viene ben esplicata da questo passaggio tratto da un’opera di Claparède: “Innanzi tutto che cosa è un’attitudine? Un’attitudine è una disposizione naturale a comportarsi in un certo modo, a comprendere o a sentire di preferenza certe cose, o a eseguire certe specie di lavori (attitudine alla musica, al calcolo, alle lingue straniere eccetera). Si potrebbero contrapporre gli osservatori, che hanno la mente rivolta verso l’esterno, ai riflessivi, la cui intelligenza è, al contrario, ripiegata su se stessa; gli intellettuali che sono sempre col naso sulle loro scartoffie, e i manuali che tendono anzitutto a “fabbricare”, a creare; eccetera.”
Le cinque leggi alla base dell’educazione funzionale possono essere riassunte in:
- legge della successione genetica: lo sviluppo cognitivo del bambino segue alcuni stadi precisi, che hanno un andamento costante. Nel formulare questo principio Claparède si rifà evidentemente a Rousseau (“La natura vuole che i fanciulli siano fanciulli prima di essere uomini”; “Lasciate a lungo agire la natura prima di intervenire ed agire al suo posto”);
legge dell’esercizio genetico: in base allo stadio dello sviluppo in cui si trova, un bambino può svolgere unicamente determinate attività e sviluppare determinate funzioni. Queste nuove capacità possono essere acquisite solo se precedentemente sono avvenute correttamente le altre tappe dello sviluppo; - legge dell’adattamento funzionale: l’educatore stimola il bambino in base all’età e alla legge del bisogno. L’attività del bambino può essere suscitata solo se egli prova un sentimento di bisogno;
- legge dell’autonomia funzionale dell’infanzia: la pedagogia tradizionale vede il bambino come un “adulto in miniatura”, concetto inteso da Claparède come degradante per il piccolo, in quanto vi sono delle differenze ovvie tra un bambino e un adulto. Il fanciullo va valutato nella sua interezza e dal suo punto di vista. Ogni individuo in una fase dello sviluppo funzionale è da intendere come un sistema autonomo. In pratica, l’infanzia significa che questo periodo della vita va vissuto come tale; nulla ne va sacrificato ad altre età o a improbabili scopi “futuri”;
- legge dell’individualità: ogni fanciullo presenta delle caratteristiche psichiche e fisiche proprie, uniche, alle quali l’educatore deve adattare la formazione del bambino. Quindi è l’adulto che deve prendere consapevolezza delle possibilità del bambino e su questo costruire l’insegnamento.
Secondo la visione di Claparède la scuola dell’infanzia dovrebbe svolgersi in un ambiente armonioso che permetta lo sviluppo delle capacità del bambino in linea con i ritmi personali di ognuno e dovrebbe avere al centro la figura del bambino, con un focus sulle sue necessità e un ampio spazio dedicato al gioco. Da questa idea della scuola personalizzata su ognuno deriva l’opera “La scuola su misura” (1920), nel quale il pedagogista teorizza il miglior modo per adattare la scuola secondo le attitudini e le necessità di ogni scolaro. Claparède considera inappropriate le classi parallele, le classi mobili e le sezioni parallele, ritenendo invece più efficiente il sistema basato sulle opzioni.
- Classi parallele: ci sono classi per gli studenti che hanno un rendimento più alto e classi per chi ha un rendimento più basso;
- classi mobili: ogni studente segue classi in cui la materia è più o meno complessa in base al proprio livello di competenza;
- sezioni parallele: scuole di studi classici, tecnici, eccetera;
- sistema delle opzioni: metà del monte ore scolastico è comune a tutti gli allievi, mentre l’altra metà delle ore può essere autogestita dallo studente, che è libero di scegliere le materie che preferisce. Questo nell’ottica che il bambino deve poter trarre dalla scuola il massimo beneficio in termini di sviluppo e approfondimento delle proprie competenze.
3. C. Freinet
Célestin Baptistin Freinet (1896 -1966) nasce a Gars, un minuscolo paese situato sulle Alpi Marittime francesi, in una famiglia di contadini, e questo gli permette di sviluppare uno spiccato senso del valore dell’attività manuale. Inizia fin da piccolo ad aiutare i genitori nei campi, e alterna il duro lavoro allo studio. A meno di vent’anni viene arruolato dalla Francia per combattere nell’esercito, e nel 1916 rimane vittima di un grave ferimento ad un polmone; la lunga convalescenza gli dà modo di approfondire i suoi studi, e durante questo periodo si avvicina all’ideologia marxista. Nei primi anni venti si laurea in lettere e diventa maestro in alcune scuole elementari, dove inizia a far stampare i propri libri di testo e inizia a collaborare con alcuni colleghi che condividono le sue idee. Egli vuole attuare una rivoluzione nel mondo scolastico, perchè ha un ricordo molto negativo del suo periodo scolastico e vorrebbe migliorare le condizioni degli scolari. La sua prima esperienza nell’ambito dell’insegnamento, che lo vede come maestro a Bar-Sur-Loup, rende evidente la necessità di nuovi strumenti pedagogici per poter entrare in contatto con i bambini e stimolarli all’apprendimento. In particolare, egli ritiene necessario riuscire a integrare nella scuola i giovani più poveri e provenienti da contesti disagiati (per quanto riguarda questo aspetto è evidente l’influenza delle tesi di Pestalozzi).
Nel 1935 riesce ad aprire, grazie anche al supporto della moglie, delle associazioni operaie locali e della cooperativa per l’insegnamento laico (CEL) la sua prima scuola privata, l’“École Freinet” a Vence, molto particolare per l’assenza di classi e l’ampia offerta di laboratori e spazi all’aperto in cui giocare. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Freinet viene arrestato ed internato nel campo di concentramento francese di Saint-Maximin. La scuola è costretta a chiudere i battenti fino a quando, dopo l’esperienza come partigiano nella Resistenza francese, Freinet riprende con entusiasmo il suo ruolo di direttore della scuola, al termine del conflitto. Dopo aver continuerà ad insegnare fino al 1966, anno della sua morte.
Il tragico episodio che si verifica durante la prima guerra mondiale cambia la vita di Freinet: innanzitutto, a causa della ferita al polmone, egli non può essere un maestro tradizionale, perchè non riuscirebbe a praticare “la pedagogia della saliva”, ovvero mantenere i bambini incollati ai banchi mentre il maestro parla, spesso senza nemmeno essere ascoltato; inoltre, la fede marxista che egli sviluppa è alla base della sua idea di scuola come riscatto sociale e possibilità di integrazione, attraverso le conoscenze ed il lavoro manuale.
Freinet è sicuramente una tra le più note figure dell’attivismo francese, ed il suo lavoro si è ampiamente ispirato a pedagogisti illustri come Dewey, Claparède e Montessori; tuttavia, egli non si considera l’esponente di una corrente, ma “solo” un maestro, poiché la sua convinzione è che i medici, psicologi, filosofi “seminavano al vento il buon seme di un’educazione liberata, non erano loro a grattare la terra dove avrebbe germogliato la semenza […] Lasciavano obbligatoriamente queste cure ai tecnici della base, che in mancanza di organizzazione, di strumenti e di tecniche, non pervenivano a tradurre i loro sogni in realtà” (1969). In poche parole, sostiene che siano gli insegnanti a dover mettere in pratica il vero e proprio lavoro per riformare l’educazione.
Come tutti gli attivisti formatisi nella prima metà del Novecento, Freinet ha una convinta concezione dell’educando come soggetto attivo e partecipante all’educazione. Perché ciò avvenga deve esserci continuità tra scuola e vita, ovvero, per assecondare il naturale sviluppo del bambino e suscitare il suo interesse, l’alunno deve avere la possibilità di sperimentare: l’educazione non può basarsi semplicemente sull’ascolto passivo o sulla riproduzione di modelli già costituiti. Freinet parla di una “pedagogia del buon senso” in cui la realtà rurale è d’ispirazione alla scuola e ai suoi educatori, e di una “pedagogia popolare” in cui l’educatore riesce a coinvolgere gli alunni e a fornire loro gli strumenti necessari per la loro “liberazione”. Gli scolari di Freinet imparano a cooperare tra di loro e a rispettare la natura ed i compagni di classe.
La pedagogia di Freinet non si basa su un metodo, che ha la caratteristica di essere statico ed immutabile, ma piuttosto è formata da tecniche, molto più adattabili alla situazione in cui ci si trova. Alcune delle principali sono:
- “La lezione passeggiata”: l’educatore accompagna i bambini in un’escursione a piedi nelle botteghe artigiane del villaggio e nella natura circostante, dove i piccoli hanno la possibilità di osservare e toccare con mano l’ambiente che li circonda. Al rientro in classe si discute e si ragiona su ciò che è stato sperimentato e si scrive un resoconto;
- “La stampa”: l’uso della tipografia, sicuramente innovativo per i suoi tempi, permette di conservare il lavoro dell’alunno ed avviarlo alla corrispondenza interscolastica;
- “Il testo libero”: i bambini sono incoraggiati a scrivere un testo che viene poi letto alla classe. Tutti insieme i fanciulli si accordano per scegliere quello che viene stampato ed utilizzato per la corrispondenza interscolastica. Si tratta di un’occasione per esprimere emozioni, sentimenti e vissuti personali, oltre ad essere un esercizio di scrittura e lettura;
- “La corrispondenza interscolastica”: molteplici classi di molteplici scuole partecipano al progetto di stampare un testo libero per classe, scelto dagli alunni; questi testi derivanti dai vari alunni vengono uniti di anno in anno e formano “il libro di vita”;
- “Lo schedario”: si tratta di una raccolta di testi scritti e scelti dai bambini, ordinati per temi, che l’allievo può utilizzare per approfondire un argomento oppure verificare dati. Questa raccolta si arricchisce continuamente, man mano che si aggiungono nuove schede create dagli allievi. Freinet non ritiene più necessario usare i testi scolastici, sostituiti appunto da questa raccolta.
Le tecniche e gli insegnamenti di Freinet si sono diffusi attraverso le molteplici opere da lui scritte, in tutti i continenti del mondo. In Italia la sua ideologia si è diffusa dando origine al “Movimento di cooperazione educativa”, occasione di confronto tra le varie esperienze didattiche innovative.
4. J. Piaget
Jean Piaget (1896 – 1980) nasce in Svizzera francese, dove si appassiona alla biologia e si laurea in Scienze naturali nel 1918. Il suo padrino, l’intellettuale Cornut, lo introduce alla filosofia di Bergson; un’altra figura importante nel determinare il suo percorso è Reymond, professore universitario che lo spinge ad unire scienza e filosofia. Si rivela però la chiave del suo indirizzo lavorativo la scoperta della psicologia e della psicanalisi. Nel 1919 si iscrive alla Sorbona di Parigi dove studia filosofia della scienza seguito dal professor Brunschvicg, da Simon e Binet, in collaborazione con il quale opera i suoi primi studi sull’età evolutiva. In breve tempo Piaget inizia a farsi strada nell’ambiente accademico, e si trova a collaborare con Claparède nell’Istituto Rousseau di Ginevra; diventa successivamente titolare di molte cattedre universitarie. Nel secondo dopoguerra diventa membro del Consiglio esecutivo dell’Unesco e nel 1955 fonda e dirige il Centro internazionale di epistemologia genetica. Nel corso della sua vita viene insignito di diverse lauree honoris causa per la sua attività.
Un pilastro fondamentale dell’attività di Piaget riguarda il tema dell’adattamento: egli cerca di comprendere le condizioni di adattamento, partendo dai molluschi, ai quali si interessa durante lo studio delle Scienze naturali tanto da dedicargli la sua tesi di laurea, e arrivando fino all’analisi degli esseri umani. Egli sostiene che l’intelligenza sia la forma più alta dell’adattamento, e che questo si verifichi secondo una relazione dinamica tra l’ambiente e l’individuo, che si esplica con i termini di “assimilazione” ed “accomodamento”. Con questa tesi Piaget supera da una parte la tesi dell’evoluzionismo, che dà importanza soprattutto all’ereditarietà, e dall’altra la tesi dei comportamentisti, che dà maggior rilievo all’ambiente circostante. La sua posizione è dunque interazionista, ed egli si dedica con particolare interesse all’epistemologia genetica. Mentre quando si parla di epistemologia s’intende l’insieme dei metodi e delle condizioni necessarie al raggiungimento della conoscenza scientifica, quando si parla di epistemologia genetica s’intende una teoria della conoscenza fondata sullo sviluppo del bambino nelle prime tappe della sua vita.
Fin da neonato, il bambino palesa la sua intelligenza tramite le sue azioni; viene descritto da Piaget come egocentrico, perchè capace di guardare il mondo soltanto attraverso la propria lente ed incapace di analisi attraverso la prospettiva delle altre persone; realista, perchè rende concreto l’astratto, ovvero le sue rappresentazioni mentali. La pedagogia di Piaget si occupa dello sviluppo cognitivo del bambino, che si verifica secondo quattro stadi successivi, ognuno caratterizzato da caratteristiche specifiche:
- primo stadio: viene detto sensorimotorio, a sua volta suddiviso in uno stadio dei meccanismi ereditari (o stadio dei riflessi), uno stadio delle prime abitudini motorie ed uno stadio dell’intelligenza pratica. Va dai 18 ai 24 mesi ed è caratterizzato dalla percezione, quindi dalla capacità di internalizzare elementi nuovi: questo fenomeno fa parte dell’adattamento all’ambiente circostante. Si tratta di una fase in cui prevale l’improvvisazione, quindi non ci sono progetti o attese per il futuro. L’incorporazione di un’esperienza nuova all’interno di uno schema mentale che il neonato già possiede va di pari passo con l’accomodamento intenzionale, come ad esempio il fatto di procedere per tentativi;
- secondo stadio: viene detto “preoperatorio” e dura dai 2 ai 6 anni circa, ovvero il periodo in cui si sviluppa l’intelligenza rappresentativa. In questo periodo si verifica l’acquisizione del linguaggio, ovvero la modalità con cui si rappresentano alcuni concetti attraverso altri di riferimento. In questo senso si parla di “rappresentazione” per descrivere la riproduzione tramite immagine di un oggetto percepito, ma anche la riproduzione mentale di un soggetto non percettivo.
Il secondo stadio si esplica attraverso alcune attività specifiche che il bambino di quest’età compie: il linguaggio verbale, il gioco simbolico (nel quale i bambini agiscono immedesimandosi in un’altra persona oppure in un animale, oppure utilizzano alcuni oggetti come se fossero altri oggetti) e l’imitazione differita nel tempo. In questo periodo di tempo il bambino non è ancora in grado di compiere operazioni con il pensiero in quanto la percezione domina sulla logica;
terzo stadio: dai 7 ai 12 anni il bambino entra nella fase operatoria concreta, durante la quale si acquisisce la capacità di compiere operazioni logiche, come numerare o classificare, ma anche la base del pensiero comune (come il tempo e lo spazio). Si verifica dunque un evidente miglioramento delle capacità cognitive del bambino, che diventa in grado di sviluppare percezioni ed azioni astratte, come le operazioni matematiche; - quarto stadio: oltre i 12 anni si presenta la fase operatoria formale, nella quale il bambino riesce ad organizzare eventi futuri, immaginare eventi che non sono ancora avvenuti. In sostanza compare la capacità astrattiva, quindi la capacità di ragionare secondo la logica di deduzione ed induzione.
Il processo di sviluppo cognitivo segue dunque queste fasi rigorose, tali per cui non ci si può aspettare alcuna possibilità di anticipare questi processi. Secondo Piaget il pensiero matura quando si è in grado di creare autonomamente dei concetti, senza bisogno di acquisirli esternamente.
Età | Fasi | Descrizione |
0-2 | Sensomotorio | Il bambino comprende il mondo dal punto di vista dei suoi senti e delle sue azioni motorie. Il gioco appeso sopra la sua culla è come lo sente al tatto quando lo afferra, come appare quando lo guarda, è il gusto che ha quando lo mette in bocca. |
2-6 | Preoperatorio | A 18-24 mesi, il bambino è in grado di utilizzare i simboli per rappresentarsi mentalmente gli oggetti e inizia ad accettare la prospettiva altrui, a classificare gli oggetti, e a usare una logica semplice. |
7-12 | Operatorio concreto | La logica fa un grande balzo in avanti con lo sviluppo delle nuove potenti operazioni mentali, come le addizioni, le sottrazioni e le inclusioni di classi. Il bambino è ancora legato a esperienze specifiche, ma è in grado di fare manipolazioni sia reali che immaginarie. |
12 e oltre | Operatorio formale | Il bambino diventa capace di manipolare sia le idee che gli eventi o gli oggetti. Può immaginare e pensare cose che non ha mai visto o che non sono ancora accadute, può organizzare idee o oggetti in modo sistematico e pensare in modo deduttivo. |
Nonostante il lavoro di Piaget assuma una sfumatura prettamente pedagogica solo in alcune delle sue opere, come “Dove va l’educazione” (1948) e “Psicologia e pedagogia” (1969), i suoi studi diventano ampiamente conosciuti ed apprezzati nel campo della pedagogia. Dalle sue ricerche emerge la figura del bambino come già in possesso di certe conoscenze, ma nel momento in cui giunge alla scuola, queste devono essere sicuramente implementate.
Per Piaget psicologia e pedagogia sono interconnesse tra loro, in particolare è la pedagogia ad essere dipendente dalla psicologia. Attraverso la nascita della teoria degli stadi di sviluppo cognitivo dei bambini emerge la necessità di un approccio educativo personalizzato, che garantisca ad ogni bambino il rispetto dei suoi bisogni, in base ai suoi ritmi individuali di sviluppo (l’influenza del collega Claparède, sostenitore della “scuola su misura” è evidente). Affinchè ciò sia possibile ovviamente gli educatori devono essere formati per comprendere lo stadio di sviluppo evolutivo in cui si trova il bambino. Oltre alla conoscenza della materia, l’insegnante deve essere istruito a sua volta sullo sviluppo infantile.
Ancora una volta torna il concetto di “adattamento” all’ambiente sociale, che gli adulti compiono nei confronti dei bambini, ed anche il “puerocentrismo”, ovvero la figura centrale, attiva, del bambino all’interno del processo formativo (questo è alla base dell’attivismo, sia Europeo sia Americano, sviluppatosi nei primi anni del Novecento). Per favorire questo nuovo metodo diventa fondamentale il lavoro di squadra, così come l’autogestione, che permette agli alunni di disciplinarsi in modo autonomo in aula, e sviluppare solidarietà e personalità.
Secondo Piaget l’educazione dovrebbe portare alla formazione di creativi, innovatori ed inventori, sfruttando proprio l’infanzia come fase creativa. Inoltre, siccome lo sviluppo mentale deve progredire affinchè qualsiasi insegnamento si riveli efficace, l’unico modo per fare pedagogia è quella ispirata a Rousseau: egli sosteneva che il compito dell’educatore fosse quello di assecondare e favorire la natura del bambino creando situazioni apposite che ne stimolino lo sviluppo. La figura chiave affinchè questo si verifichi è quella dell’insegnante e quindi l’ambito formativo per eccellenza è la scuola, intesa come laboratorio fondamentale per influenzare la forma mentis del bambino.
Nonostante il grande apprezzamento per l’ideologia e le opere di Piaget, ovviamente gli sono state mosse anche alcune critiche, legate principalmente all’orientamento scientifico delle sue teorie. Egli è accusato di dare troppa importanza alla biologia rispetto all’ambiente, di aver condotto uno studio troppo rigido della psicogenesi (infatti i suoi studi sono stati rielaborati in modo più articolato). In Italia le idee di Piaget si diffondono negli anni Cinquanta, principalmente ad opera di Petter, Musatti e Metelli. L’innovazione principale apportata da Piaget alla figura del bambino è quella di vederlo come un individuo con specificità diverse rispetto a quelle dell’adulto.
5. J. Maritain
Jacques Maritain (1882 – 1973) nasce a Parigi e si converte al cattolicesimo durante le sua giovinezza, seguito dalla moglie Raïssa. Durante il periodo della prima guerra mondiale si trasferisce in America, dove passa la gran parte della sua vita: a New York fonda la sua “Scuola Libera di Alti Studi” e tiene diverse conferenze all’università di Yale, le quali verranno poi raccolte in un volume intitolato “L’educazione al bivio”. Alla fine della seconda guerra mondiale diventa ambasciatore francese presso il Vaticano. Dopo la morte della moglie, nel 1961 si ritira dalla vita accademica per unirsi ad una Comunità religiosa, in Francia, dove muore dodici anni dopo.
Secondo il pensiero di Maritain prima di sviluppare un’ideologia pedagogica serve conoscere la fondazione antropologica, in quanto qualsiasi percorso di formazione ha alla base una precisa idea di uomo, da cui derivano le scelte necessarie a realizzarla. L’educatore non può ridurre la pedagogia a mera metodologia, ma deve avere idee chiare a proposito dello scopo che muove la sua azione, in modo da poter scegliere le esperienze e gli strumenti più opportuni attraverso cui agire. La pedagogia è una scienza pratica, che si muove dal piano teorico a quello pratico, quindi l’ideologia è utile non in sé, ma piuttosto per accedere all’azione. Per praticare la pedagogia deve esserci alla base la conoscenza di diverse discipline, ognuna utile per un preciso motivo:
- la scienza fornisce indicazioni fondamentali sugli strumenti, ovvero i mezzi con cui agire per mettere in pratica la pedagogia. La scienza studia quindi il “come”, analizzando le leggi della natura;
- la sfera filosofico-religiosa fornisce le direttive sull’educazione che implicano l’idea di “uomo in quanto tale”. La filosofia studia l’Essere.
La pedagogia di Maritain si sviluppa quindi in un contesto filosofico e religioso, in quanto queste discipline analizzano l’uomo, concepito come animale creato a immagine di Dio, in modo integrale. La religione cristiana infatti sostiene che tutte le persone siano uguali nella dignità e nel valore e siano vincolate dall’amore. Maritain concepisce l’uomo come una figura completa, dotata di spiritualità, che è la base della libertà: la libertà si trova nell’uomo spirituale, mentre l’uomo non spirituale è suscettibile di strumentalizzazione. L’uomo spirituale è condizionato dai fattori psicologici, sociali ed ambientali: vive una vita naturale, ma anche soprannaturale perchè, in quanto creatura di Dio, è destinato allo stesso creatore, ed il ricongiungimento con Lui è proprio lo scopo della vita umana. La vita naturale e sociale ha un senso solo nell’ottica della vita soprannaturale. L’essere umano si compone quindi di queste due nature: la vita naturale è espressa tramite l’“individualità”, mentre quella soprannaturale tramite la “personalità”.
L’educazione del bambino non può prescindere dalla vita soprannaturale e deve focalizzarsi quindi su entrambi gli aspetti dell’essere umano; al contrario, se la pedagogia non si occupasse della spiritualità sarebbe estremamente riduttiva. La formazione deve permettere al fanciullo di svilupparsi nella sua interezza, deve essere una guida che favorisca il raggiungimento della libertà individuale, lo sviluppo dell’intelletto e della dimensione spirituale; ognuno deve ricevere dall’educazione l’eredità intergenerazionale culturale in modo tale da integrarsi nel contesto storico di appartenenza. Il soggetto deve quindi essere educato da vari punti di vista, come sociale, psichico, spirituale. Maritain concepisce l’essere umano nella sua complessità ed interessa al centro della formazione. La persona è concepita allo stesso tempo come modello e principio di ogni azione.
Il pedagogista rientra nel cosiddetto Personalismo filosofico e pedagogico, più precisamente definito “neotomistico” in quanto si rifà all’ideologia di Tommaso d’Aquino, esponente medievale della teologia cattolica.
L’opera di Maritain “L’educazione al bivio” è distinta in due parti principali: nella prima parte l’autore critica la pedagogia contemporanea, mentre nella seconda parte l’autore propone il suo modello di educazione liberale universale.
Nella prima sezione del testo egli afferma di apprezzare le correnti dell’attivismo nate all’inizio del Novecento negli Stati Uniti ed in Europa, ma ne individua alcuni punti con cui non si trova d’accordo:
- “tutto può essere insegnato”: l’educazione gioca sicuramente un ruolo fondamentale nello sviluppo della ragione di ognuno, ma la famiglia ed il costume sono ancora più importanti per apprendere, ad esempio, i sentimenti religiosi, la prudenza, l’amore e la saggezza, che devono essere le basi solide su cui si fonda la vita di un uomo;
“sociologismo”: la formazione dei bambini non deve avere come primo obiettivo il loro inserimento nella società del tempo in cui vivono, ma piuttosto deve mirare alla formazione di un uomo integrale che, proprio tramite l’educazione ricevuta, diventerà un buon cittadino. La comunità deve essere ispirata dalle virtù sociali; - “misconoscimento dei fini”: l’educazione è un’arte morale che richiede la concentrazione dell’educatore sul fine ultimo, ovvero la formazione del bambino verso la costruzione della propria integralità come essere umano. Invece, nell’attivismo viene dedicata una quantità di risorse ed energie sproporzionata all’uso delle tecnologie e al raggiungimento dell’efficienza;
“volontarismo”: si tratta di un concetto positivo quando si utilizza per affermare la prevalenza della moralità sul sapere e della volontà sull’intelligenza, ma assume un aspetto molto negativo quando si trasforma nel culto del volere per se stesso. Un esempio storico del volontarismo negativo si può ricercare nelle organizzazioni dei giovani nazisti;
“false idee riguardo al fine”: Maritain sostiene che l’educazione dovrebbe basarsi sulla conoscenza della natura umana nella sua interezza e sulla scala di valori che questa implica. Al contrario, l’attivismo pedagogico prevede una concezione puramente naturalistica dell’uomo e del fine della formazione dei bambini;
“pragmatismo”: questo modo di pensare riduce il pensiero umano a una risposta all’ambiente che lo circonda, mentre secondo Maritain l’azione dovrebbe esplicarsi solo in funzione di un fine assoluto, ed il pensiero è un’energia vitale che permette di cogliere la Verità; - “intellettualismo”: l’educazione tradizionale destinata alle classi borghesi riconosce nello sviluppo delle abilità dialettiche e retoriche il fondamento della formazione. Allo stesso modo l’iper specializzazione di alcune forme di pedagogia contemporanea disumanizzano l’uomo. L’educatore dovrebbe puntare alla formazione del bambino nella sua globalità, quindi Maritain propone un’educazione liberale per tutti.
Nella seconda sezione del testo Maritain propone il modello di educazione liberale rivolto a tutta la popolazione infantile, basandosi sui principi cristiani. L’educazione liberale è finalizzata a formare la conoscenza e le virtù, l’uomo è “libero di liberarsi” e solo attraverso l’educazione diventa consapevole delle norme sociali, religiose e morali. La libertà viene ottenuta un giorno alla volta, operando le scelte grazie alla conoscenza della verità, e si conquista attraverso la relazione tra educatore e fanciullo. La figura dell’educatore è quindi fondamentale in quanto liberatrice, perchè permette all’educando di prendere coscienza delle qualità che sono già presenti nel suo animo, come l’amore per la giustizia e per il bene, la collaborazione con gli altri. Durante il percorso di formazione vengono liberate queste disposizioni che sono innate, ma non ancora esternalizzate: questo permette lo sviluppo della vita spirituale del giovane.
Il progetto della scuola liberale di Maritain prevede un primo livello uguale per tutti, che ha lo scopo di fornire una “conoscenza universale” nel senso formativo, ovvero promuovendo il gusto del vero e favorendo lo sviluppo di intuizione ed emotività. Il secondo livello è differente a seconda dell’orientamento professionale, sempre con il prevalere del carattere umanistico; si divide in indirizzo manuale ed indirizzo intellettuale. Nel secondo grado, comunque, lo scopo è la formazione umanistica, in modo tale da superare le contrapposizioni tra lavoro e cultura, concetto che è invece sempre stato sostenuto dall’educazione tradizionale borghese. In sostanza Maritain vuole introdurre la filosofia anche negli istituti tecnici che preparano i ragazzi all’ambito lavorativo. Questo progetto pedagogico era ritenuto dal pedagogista più in linea con i suoi tempi, dunque innovativo e adatto alla società contemporanea insieme a tutti i valori che la caratterizzano.
Maritain viene considerato come un innovatore della pedagogia di ispirazione cristiana. Mentre la maggioranza del mondo cattolico prende le distanze dalla modernità, il pedagogista cerca un modo di rispondere alle sfide del suo tempo: questo percorso è evidente soprattutto nell’opera “Umanesimo integrale”. Da questo testo emerge la centralità della figura umana rispetto a tutte le forme di società; le democrazia, inevitabilmente, appare il sistema politico preferito, nonostante i vari limiti siano criticati apertamente da Maritain. La vita politica dovrebbe basarsi sui valori cristiani come l’amore fraterno, l’uguaglianza di tutti gli uomini e la dignità dell’uomo in quanto creato a immagine di Dio. Sempre in ottica dell’aderenza cristiana a questi principi il pedagogista ritiene fondamentale il dialogo tra società e religioni diverse, in modo tale da non escludere, ma cercare di comprendere, la verità presente in tutti i progetti umani, per quanto lontani dalla dottrina cattolica (ad esempio, il marxismo). Prima di condannare un’ideologia per i suoi aspetti negativi sarebbe bene avere un atteggiamento di apertura che permetta di coglierne gli aspetti positivi.
La sua visione della formazione ha avuto un’influenza notevole nel Concilio Vaticano II ma anche nella cultura di alcuni partiti, in Italia primo su tutti quello della democrazia cristiana degli anni Quaranta. Dopo la traduzione di “L’educazione al bivio” anche le scuole pedagogiche hanno preso spunto dal suo lavoro: in Italia, un esempio su tutti è quello dell’Università Cattolica di Milano.