5. L’antropologia del mondo contemporaneo

L’antropologia del passato era una disciplina nuova, che studiava popolazioni anche estremamente lontane dalla terra nativa degli antropologi stessi. L’antropologia del nostro tempo si domanda invece se avrebbe ancora senso parlare di antropologia in questi termini. Al giorno d’oggi l’antropologia non può prescindere da altre discipline come la sociologia, la psicologia sociale, la storia e la geografia. 

La prima definizione di “cultura” viene ipotizzata da Tylor, che la descrive come la produzione di sistemi culturali che mettono in evidenza la capacità dell’uomo di produrre sistemi simbolici. Questi sistemi culturali vengono utilizzati per trasferire conoscenze e competenze all’interno della propria comunità. Questo viene definito come processo di inculturazione, che porta le persone a trasferire, in maniera consapevole o meno, a trasferire un sistema di conoscenze. Le tribù analizzate da Tylor tuttavia non erano delle società chiuse, ma s’interfacciavano tra di loro, trasferendo quindi competenze e conoscenze anche tra le diverse tribù: si parla quindi di acculturazione, che fa nascere nuove culture dalla contaminazione culturale tra le diverse tribù. Il concetto di acculturazione presuppone che prima della contaminazione tra le due culture esistano due insiemi puri e omogenei. La scelta di una prospettiva sistemica deve comunque di tenere in considerazione la variabilità ed il cambiamento ed il punto di vista dei soggetti al centro dell’indagine antropologica. 

Questo fenomeno viene descritto anche dai colonizzatori spagnoli. Un esempio è quello di un colonizzatore che nelle terre degli Indios, a causa di una tempesta, perde la propria nave e vede dispersa la propria flotta. Egli, insieme a tre compagni, giunge quindi sulle spiagge delle isole degli Indios, dove si ritrova nudo, esattamente come tutti gli altri abitanti di quella terra. La sua nudità fisica lo porta ad un cambiamento interiore, che si rivela in modo evidente nei suoi scritti, nei quali rivela di essere diventato uno sciamano, per cui gli vengono conferiti i poteri sacerdotali. Si tratta di un evento complesso da giustificare per uno spagnolo cattolico che si trova a confrontarsi con religioni naturalistiche. Il colonizzatore fa anche l’esperienza del “noi”, ovvero accoglie gli elementi dell’altra cultura, dando origine ad una cultura integrata. Quando egli rientra in Spagna fatica a comunicare quello che ha vissuto.

Le esperienze effettuate dai primi antropologi vengono logicamente a mancare agli antropologi contemporanei, e questo accade perché anche le società tribali sono ormai fortemente intrise di cultura del mondo occidentale: le tribù non vivono più in capanne, ma in case; indossano abiti industriali; ripropongono spesso i propri riti solamente per i turisti, che sono interessati a conoscere la cultura del luogo oppure a fare un’esperienza diversa. In passato dunque l’antropologo partiva per una spedizione di ricerca etnografica e si allontanava molto dal mondo occidentale, spingendosi fino ad isole molto piccole in mezzo all’oceano, per poter studiare gli stili di vita e la cultura delle popolazioni locali “primitive”, incontaminate dall’occidentalizzazione.
Nel corso dei decenni le cose sono molto cambiate: ad esempio, al giorno d’oggi le persone che vivono nella stessa epoca condividono mediamente dei riferimenti comuni, ma è ancora possibile avere la sensazione di viaggiare anche nel tempo quando ci si sposta in paesi diversi dal nostro, dove le culture sono ancora molto lontane. 

Estremamente importante diventa scegliere con particolare attenzione l’oggetto di ricerca e la metodologia da adottare sul campo, senza ridurre l’analisi alle relazioni interpersonali in loco. Dev’essere effettuata una descrizione precisa dei comportamenti umani nel loro contesto storico e socio-culturale e il confronto con altre forme nel tempo e nello spazio. Dal confronto tra modelli differenti, emerge una condizione umana in continuo cambiamento. Le quattro fasi della ricerca antropologica si possono schematizzare in questo modo:

  • l’antropologo sceglie attentamente l’oggetto dello studio che vuole condurre, e molto spesso si tratta di un tema legato a forme di vita collettive;
  • successivamente l’antropologo si reca in situ per effettuare l’indagine;
  • egli s’informa il più possibile sull’oggetto dello studio, leggendo tutta la letteratura disponibile;
  • mette per iscritto i risultati che ha ottenuto durante la sua spedizione.

In sostanza al giorno d’oggi bisognerebbe ripensare l’antropologia contemporanea a causa di un contesto di ricerca molto diverso dal passato. Probabilmente i due testi più significativi in proposito sono “L’antropologia del mondo contemporaneo” di Augé e Colleyn ed “Antropologia senza confini” di Matilde Callari Galli. Queste opere prendo in esame una nuova realtà: le grandi città, le periferie, la nuova produzione di cultura, che porta l’antropologo a comprendere in loco come la cultura si è modificata a causa dell’incontro delle persone. Esempio di un antropologo che, a New York, entrando in una strada, sente gli odori, i profumi, i suoni, il chiasso di una città come quella di Haiti: egli sperimenta quindi il suo disorientamento, il suo immaginarsi di essere ad Haiti quando in realtà si trova da tutt’altra parte. Questo è il fenomeno maggiormente indagato nella nuova antropologia, ovvero lo “spaesamento”: sapere di essere in un luogo ma di essere convinti di trovarsi da tutt’altra parte. 

Un altro testo importante dell’antropologia contemporanea è “L’etnologo nel metrò” di Marc Augé, che palesa come il soggetto dell’antropologia contemporanea sia diventato l’individuo che vive al fianco dell’antropologo, come ad esempio un concittadino, e non più un soggetto che vive in una zona remota ed incontaminata del mondo. L’alterità analizzata è ritrovata nella vita di tutti i giorni. 

Nella loro opera Augé e Colleyn descrivono il processo dello spaesamento come “La teoria dei non-luoghi”, che definisce il processo di estraneamento dell’uomo pur essendo parte integrante della sua società e della sua collettività.  Le persone della nostra epoca ricercano la propria dimensione sociale all’interno di luoghi considerati sicuri e familiari, che possono essere i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali oppure ancora le strutture che permettono la circolazione di persone e beni, come le strade o le stazioni ferroviarie: questi sono ambienti in cui entrano in contatto moltissime persone senza stabilire una reale relazione tra di loro. I non-luoghi sono in contrapposizione con i luoghi antropologici che sono definiti identitari, relazionali e storici. La nuova modernità viene definita “Surmodernità”, sviluppatasi in connessione con la globalizzazione e favorente la teoria dei non-luoghi. I non-luoghi sono incentrati esclusivamente sul presente e sono rappresentativi dell’epoca in cui viviamo, nella quale dominano la precarietà totale in ogni ambito della vita, la provvisorietà, il transito e l’individualismo solitario. 

Il concetto di nonluoghi è strettamente connesso ai concetti di confini e spazio. Il luogo è, secondo l’antropologia moderna, un costrutto culturale legato all’identità e ai confini: nel momento in cui si occupa uno spazio si è un corpo che esiste e vive. Questa riflessione antropologica si estende alla riflessione di carattere sociale: secondo Michel de Certeau il corpo umano ha una natura sociale ed gestito con la politica, che è essa stessa una questione di gestione degli spazi. Il confine, fissando uno spazio, determina un luogo e delle identità sociali. I luoghi possono essere forti, se hanno un’identità specifica, o deboli, se facilmente permeabili e controllabili. Il dibattito attuale sui confini mette in discussione gli spazi che “l’altro” può occupare e quali spazi sono riservati a persone che hanno la stessa identità. De Certeau, nell’opera “Invenzione del quotidiano”, analizza come i cittadini siano portatori di una resilienza nei confronti degli spazi definiti dalle pratiche amministrative. I cittadini sono dotati di una propria originalità percepibile quando si abbandona l’idea di città come spazio architettonico; lo spazio antropologico nasce quando gli spazi sono dotati di un significato che gli abitanti della città attribuiscono a quegli spazi, a prescindere dal progetto urbanistico. Secondo Michel De Certeau, quindi, le attività che vengono svolge quotidianamente sono definibili “pratiche della differenza” e attribuiscono il senso dei luoghi di una città. 

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