1. Introduzione
Quando si parla di conformismo in sociologia si fa riferimento all’atteggiamento di omologazione che si riscontra nei confronti di opinioni e comportamenti che sono considerati pre-definiti o che prevalgono nella società, che oggi definiremmo “mainstream”(in inglese significa letteralmente “che segue la corrente principale”). Oltre alle idee e agli atteggiamenti, il fenomeno può influenzare il modo di vestire, abitudini e sport o hobby: in questo caso spesso la popolazione tende a fare e credere ciò che va di moda in un determinato momento storico e contesto socio-culturale.
Questo fenomeno è studiato ormai da molto tempo, infatti già Sigmund Freud lo descrisse prendendo come modello la società americana del suo tempo; secondo lui il conformismo è definibile come “la miseria psicologica delle masse” e in questa definizione identifica la tendenza della popolazione a mettere da parte la propria identità ed i propri autentici usi e costumi al fine di omologarsi con il resto della società e riuscire quindi a sentirsi parte della collettività. È quindi evidente che venga sacrificata l’individualità a favore della collettività.
2. L’esperimento di Milgram
Due dei sociologi più noti che si sono occupati dello studio del conformismo furono Solomon Asch ed il suo allievo Stanley Milgram, che tramite una serie di esperimenti riuscirono a dimostrare alcuni punti chiave del conformismo.
Milgram era proveniente da una famiglia ebrea che, a causa della seconda guerra mondiale, si trasferì in America, dove Stanley studiò e divenne professore di psicologia in università prestigiose.
Egli è conosciuto principalmente per aver condotto un esperimento risalente al 1963, in cui dimostrava quanto fosse facile per gli esseri umani commettere degli atti atroci di malvagità soltanto perché stavano obbedendo a degli ordini. Il suo lavoro è molto focalizzato sul concetto di “responsabilità”. In questo esperimento sono presenti delle coppie formate sempre da un partecipante ed un attore che finge di essere partecipante. Dopo una breve introduzione sullo svolgimento dell’esperimento, ai partecipanti viene fatto credere che svolgeranno il ruolo di insegnanti, mentre gli attori sono assegnati al ruolo di scolari. Viene detto allo scolaro che verrà sottoposto a una serie di domande di memoria da parte dell’insegnante, e l’alunno dovrà ricordarsi tra scelte multiple quale sia la risposta corretta; se viene fornita la risposta sbagliata, l’alunno riceverà una scossa elettrica tramite un bracciale contenente una serie di elettrodi che viene legato al suo polso. In una stanza differente, dove è presente il generatore, si trovano lo scienziato e l’insegnante, il quale può regolare l’intensità della corrente elettrica da 15 Volt a 450 Volt, ovvero un voltaggio letale. Agli insegnanti viene detto che ogni volta che lo scolaro sbaglia dovranno aumentare l’intensità della corrente elettrica e mentre somministrano le scariche possono sentire i lamenti e le urla di dolore degli alunni che ricevono la scossa elettrica. Ovviamente era tutto falso: le scosse elettriche non venivano erogate, ma l’insegnante non ne era a conoscenza.
Lo scopo dell’esperimento è quello di valutare quanti partecipanti, ovvero insegnanti, chiedono di interrompere l’esperimento perché non sopportano di far soffrire gli alunni, e quanti invece, semplicemente perché gli è stata conferita questa responsabilità dallo scienziato, continueranno ad aumentare l’intensità della corrente elettrica, anche fino a raggiungere un voltaggio letale.
I partecipanti hanno avuto reazioni diverse, in quanto qualcuno ha abbandonato l’esperimento, cercato di suggerire le risposte giuste allo scolaro, o si è ribellato allo scienziato, il quale rispondeva in modo conciso di continuare l’esperimento.
Prima che si verificasse l’esperimento gli scienziati stimarono che solo lo 0.1% dei partecipanti avrebbe somministrato la scossa letale agli alunni in caso di multiple risposte errate, ma si sbagliavano: si è arrivati a circa il 65% dei partecipanti che hanno somministrato la scossa a 450V. Al termine dell’esperimento, alla domanda: “perché ha continuato a infliggere le scosse, se pensava che la persona stesse soffrendo?”, il partecipante rispondeva allo scienziato: “avrei voluto smettere, ma lei mi ha obbligato a continuare”
L’esperimento di Milgram, avvenuto anni dopo la seconda guerra mondiale, evidenzia come non sia necessario essere persone deviate o malvagie per portare a termine atti atroci solo perché questa responsabilità gli è stata attribuita da una persona autorevole. Il contesto storico in cui venne ideato l’esperimento ovviamente lo influenzò molto, in particolare ebbe un peso rilevante il processo fatto all’ufficiale nazista Adolf Eichmann, che nel 1961 fu seguito da tutto il mondo perché trasmesso in televisione. Nonostante si pensasse che durante il processo sarebbe emerso il profilo di un uomo malvagio, fanatico nazista e sadico, la giornalista Hannah Arendt, riassumendo l’impressione che chiunque ebbe seguendo l’evento, scrisse di lui: “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”. Si trattava quindi di un uomo dotato di intelligenza nella norma e senza molta convinzione politica, che era divenuto un burocrate all’interno dell’organizzazione nazista solo perché aveva compreso che avrebbe potuto trarre molti benefici da questo impiego. Egli si giustificò durante il processo affermando che stava portando a termine gli ordini che gli erano stati assegnati.
3. L’esperimento di Asch
Nel 1956 Solomon Asch, psicologo statunitense naturalizzato di origine polacca, condusse un importante esperimento sul conformismo, ovvero lo studio del comportamento umano sotto pressione sociale. La nascita dell’esperimento fu fortemente influenzata dall’avvento della seconda guerra mondiale: Asch s’interrogava su come fosse possibile che tanti cittadini tedeschi aderissero in modo totalmente acritico agli ideali nazisti.
Un gruppo di otto persone, di cui una sola è un vero partecipante mentre gli altri sono attori, viene fatto partecipare ad un esperimento di discriminazione visiva, ed essi devono osservare una scheda in cui una linea sulla sinistra deve essere confrontata con tre linee, di lunghezza diversa, sulla destra; i partecipanti dovrebbero indicare a quale delle tre linee sulla destra assomiglia maggiormente, in termini di lunghezza, la linea sulla sinistra. Agli attori viene chiesto di mentire e dare una risposta sbagliata. Si vede che il partecipante, che risponde solitamente per ultimo o penultimo, tende a dare le stesse risposte degli attori: questo può avvenire perché effettivamente il partecipante subisce una distorsione del proprio giudizio e si fida di ciò che risponde il resto del gruppo, oppure perché il partecipante è consapevole che le altre risposte siano sbagliate, ma per evitare il contrasto con gli altri membri del gruppo finge di vederla allo stesso modo degli altri presenti. Nella prima prova quindi il soggetto è solo contro il resto del gruppo, e in questo caso il 37% dei partecipanti risponde omologandosi al gruppo.

– wikipedia.it
Nella prova successiva, ad uno degli attori viene richiesto di rispondere correttamente, mentre gli altri continuano a fornire la risposta sbagliata. In questo caso si vede che il partecipante risponde effettivamente correttamente, probabilmente perché si sente supportato da un “partner” che la pensa come lui. Si arriva a circa il 5% dei partecipanti che risponde sempre d’accordo con la maggioranza del gruppo, anche se questa continua a rispondere in modo errato; solo il 25% dei partecipanti non si conforma mai al gruppo, mentre il 75% cede almeno una volta alla pressione imposta dal resto del gruppo.
A volte ci si conforma con quello che dice il gruppo perché si pensa effettivamente che gli altri abbiano ragione: si parla di “conformità informativa”; la “conformità normativa” invece si verifica quando ci si conforma con il resto del gruppo per paura di essere percepiti come persone devianti.
Nella terza prova, al partecipante viene detto che, siccome è arrivato in ritardo, dovrà scrivere le sue risposte su un foglio di carta anziché dirle ad alta voce, cosa che invece continuerà a fare il resto dei partecipanti. In questo caso si nota che il partecipante non è influenzato dagli attori e risponde correttamente alle domande semplicemente perché le altre persone non possono sapere cosa scrive sul foglio di carta, quindi viene meno il concetto di pressione sociale. Il soggetto, non sentendosi giudicato, esprime liberamente le proprie opinioni e la conformità si riduce del 66%.
4. Vantaggi e svantaggi del conformismo
Del conformismo si possono evidenziare lati positivi e negativi. Tra i lati positivi:
- determina una rapida capacità di adattarsi ad una società che cambia costantemente, proprio perché per farlo è sufficiente conformarsi al resto della popolazione;
- permette di avere interazioni sociali fluide;
- riduce il carico psicologico e lavorativo, in quanto viene diviso tra i membri di uno stesso gruppo;
- favorisce la cooperazione in periodi di crisi in cui il singolo individuo potrebbe molto poco a confronto con un gruppo. Il supporto di un gruppo infatti è una risorsa molto preziosa;
- garantisce protezione e minor esposizione ai rischi a causa del fatto che ci si mimetizza con gli altri, come sostenuto dal sociologo francese Tarde.
Tra gli svantaggi ci sono:
- perdita delle propria individualità ed originalità pur di conformarsi al resto degli individui;
- possibile accettazione di false credenze, che vengono internalizzate perché imposte dalla società;
- rallentamento del progresso, in quanto le innovazioni non derivano mai dalla conformazione.
Ci sono individui che pur di conformarsi scelgono di prendere decisioni e sostenere opinioni opposte rispetto a quelle sostenute dalla maggioranza della popolazione: questo concetto viene definito con il termine “anticonformismo”. Si tratta di un rifiuto netto che impedisce di uniformarsi al resto della società, ma che non ha niente a che vedere con l’opposizione e la trasgressione. Anticonformista è chi cerca di prendere le proprie decisioni senza farsi influenzare dai condizionamenti socio-culturali.