3. Radioastronomia e dimensioni dell’universo

1. Radiazione cosmica di fondo

La radiazione cosmica di fondo è un mare di microonde che pervade l’universo, ed è il residuo del Big Bang, l’esplosione che diede inizio all’universo. Fu prevista nel 1948 dai fisici George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman, e fu misurata per la prima volta nel 1965 da Arno Penzias Robert Wilson, che nel 1978 vinsero il Nobel per la scoperta.

Nonostante lo spazio tra stelle e galassie appaia nero con un telescopio ottico tradizionale, tramite un radiotelescopio è possibile rilevare una debole radiazione isotropa che non è associata ad alcuna stella, galassia o altro corpo celeste e che ha intensità maggiore nella regione delle microonde dello spettro elettromagnetico.

Radioastronomia e dimensioni dell'universo
Radiazione cosmica di fondoFonte: https://it.wikipedia.org

2. Radioastronomia e Paradosso di Oblers

La radioastronomia studia l’universo alle onde radio ed è uno dei settori di studio a maggiore espansione in termini di strumentazione e di campi di ricerca. Tra questi, la caratterizzazione dei corpi che si avvicinano alla Terra e soprattutto i lampi veloci che si accendono nel cielo brillando a onde radio: i fast radio burst o FRB. 

Le onde radio emesse nello spazio hanno in gran parte origine da gigantesche collisioni di gas ionizzati ad alta temperatura, il plasma, che viene eccitato ed oscilla emettendo onde radio. Nel caso di radiofrequenze emesse dalle galassie, il meccanismo di emissione è dovuto prevalentemente al «frenamento» generato dai forti campi magnetici presenti sulle particelle cariche ad alta velocità (tali emissioni compaiono spesso per periodi molto brevi). Emissioni di frequenze radio assai intense sono state osservate su residui di supernove, particolarmente nella nebulosa del Granchio.

L’universo è infinito, eppure, quando guardiamo il cielo non vediamo un cielo brillante uniformemente. Il Paradosso di Olbers ha il seguente enunciato: come è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l’infinità di stelle presenti nell’universo? Prende il suo nome dall’astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, che lo propose nel 1826

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Paradosso di OblersFonte: https:/www.tutto-scienze.org

Andiamo con ordine: nella sua enunciazione originaria, il paradosso parte da tre assunti principali:

  • l’universo è infinitamente grande;
  • l’universo è immutabile ed eterno;
  • l’universo è pieno di stelle (o di galassie, nell’accezione moderna).

Da questi tre assunti deriverebbe che, in qualsiasi direzione guardassimo, ci arriverebbe la luce di qualche stella o galassia. Ma non solo: immaginiamo di trovarci al centro di una serie infinita di gusci sferici concentrici, ognuno contenente stelle o galassie uniformemente distribuite. Si può calcolare che, per i gusci via via più lontani, la diminuzione della intensità della luce è perfettamente equilibrata dal maggior numero di stelle o galassie presenti nel guscio con il raggio maggiore. 

Risulta così che il contributo di ogni guscio si va a sommare ai precedenti e, se l’Universo è infinito, risulterebbe infinita anche la luce del cielo notturno! Da quando il paradosso è stato formulato per la prima volta, in modo intuitivo, ovvero nei primi anni del 1500, fino alla sua “soluzione”, nei primi del ‘900, sono passati ben 400 anni. Tanto tempo è stato necessario per far accettare il fatto, indubitabilmente evidenziato dal paradosso, che almeno uno dei suoi tre assunti non era accettabile. Oggi sappiamo che il cielo di notte è buio e di giorno è illuminato sostanzialmente solo dal nostro Sole perché il nostro “universo causale” è finito: la luce viaggia ad una velocità enorme ma finita (300.000 Km al secondo) e tutte le stelle e le galassie che conosciamo esistono da un tempo finito, ad oggi stimato in circa 14 miliardi di anni. Sono quindi caduti i primi due assunti e, insieme ad essi, lo stesso paradosso.

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Schema UniversoFonte :https://it.wikipedia.org/
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