1. La cultura del Positivismo
Il Positivismo era stato fondato dal filosofo francese Auguste Comte (nato a Montpellier nel 1798 e muore a Parigi nel 1857) nel suo Course de philosophie positive per indicare un nuovo orientamento di pensieri: l’unica conoscenza possibile è quella che si realizza secondo il metodo scientifico. Comte individua nella scienza l’unico strumento utile per indagare il mondo; egli si propone esclusivamente di analizzare il rapporto di causa-effetto nei fenomeni osservabili. Come possiamo notare, il Positivismo si pone in linea con l’Illuminismo; si sviluppa in Francia, Inghilterra e Germania (paesi più sviluppati dal punto di vista economico), rifiuta tutte le concezioni trascendenti e metafisiche e dà importanza ai dati oggettivi, cioè che possono essere indagati. Secondo i positivisti, il metodo scientifico va esteso a tutti i campi del sapere (la storia, la filosofia, l’antropologia).
Questa cultura, tra le altre caratteristiche, presenta una concezione del progresso fondata sull’evoluzionismo, le diverse specie si evolvono attraverso la «lotta per la vita» e la «selezione naturale»: darwinismo dal suo fondatore, lo scienziato inglese Charles Darwin vissuto dal 1809 al 1882; si ricordi che un altro esponente di tale teoria è Herbert Spencer (1820-1903). Secondo Darwin l’interazione tra condizioni ambientali e modifiche delle caratteristiche dei viventi determina l’origine, la sopravvivenza o l’estensione della specie (compreso il genere umano). Spencer invece, non essendo uno scienziato ma un filosofo, dà dell’evoluzionismo un’interpretazione filosofica e sociale.
Il Positivismo italiano riprende quello francese e inglese: il movimento annoverò filosofi, tra cui Roberto Ardigò (1828-1920), e psichiatri, tra cui Cesare Lombroso (1835-1909), il quale individua dei collegamenti fra i tratti somatici e l’inclinazione alla delinquenza (egli è il fondatore dell’antropologia criminale).
2. Il Realismo e Flaubert
Nella prima metà dell’Ottocento la Francia inaugura il genere del romanzo realista con opere come Il rosso e il nero di Stendhal e la Commedia umana di Honoré de Balzac: queste sono caratterizzate da vicende tratte dalla realtà contemporanea e da personaggi di diversa estrazione sociale. Con il Realismo si tende ad una rappresentazione oggettiva, che esclude il commento diretto dell’autore; si punta, piuttosto, ad una descrizione scientifica e rigorosa. Il Realismo si afferma definitivamente nel 1857, anno in cui esce Madame Bovary di Gustave Flaubert.
Flaubert nasce a Rouen, in Normandia, nel 1821 da una famiglia benestante. A ventidue anni lascia Parigi, dove si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza e dove aveva composto le prime opere di carattere autobiografico (Memorie di un folle e Novembre).
Si reca in una villa di famiglia sulla Senna e lì lo scrittore si immerge completamente in quel mondo provinciale che farà da sfondo ai suoi romanzi (Madame Bovary, Salammbô, L’educazione sentimentale), ad esempio ricordiamo che, in Madame Bovary, Emma Rouault (figlia di un proprietario terriero) sposa Charles Bovary, un modesto medico di provincia. Flaubert muore a Croisset nel 1880.
L’opera Madame Bovary è antiromantica sia sotto il profilo ideologico sia sotto quello tecnico-letterario. Lo stile è antisoggettivo e per la prima volta viene teorizzata la teoria dell’impersonalità: l’autore si limita alla rappresentazione oggettiva della realtà escludendo dalla narrazione il suo punto di vista. Flaubert descrive con precisione ogni dettaglio dell’ambiente borghese del villaggio di Tostes dove agiscono i suoi personaggi e ne analizza scelte e sentimenti senza formulare alcun tipo di giudizio.
3. La Scapigliatura
Nel 1862 il milanese Cletto Arrighi utilizza per la prima volta il termine “scapigliatura” nel capitolo di un suo romanzo del 1857: Gli ultimi coriandoli. Lo scrittore collega il vocabolo italiano a quello francese bohème, alla lettera “vita zingaresca” (in passato gli zingari giungevano in Francia per lo più dalla Boemia).
La Scapigliatura è un movimento letterario sviluppatosi in Lombardia e in Piemonte fra il 1860 e il 1875 circa. Milano è soprattutto il centro propulsore di questo movimento: questa, infatti, è l’unica città veramente europea del neonato Regno d’Italia e dunque luogo ideale per lo sviluppo di un movimento di avanguardia come questo. Con la Scapigliatura assistiamo ad una prima frattura fra l’artista e la società: questo movimento viene identificato come una categoria sociale, ma anche come condizione esistenziale e polemica nei confronti della ricca borghesia e come rifiuto della tradizione, rappresentata per gli scapigliati soprattutto da Manzoni.
Lo sperimentalismo degli scapigliati si manifesta sia nel linguaggio (scegliendo la mescolanza di registri linguistici diversi con apertura al dialetto e ai termini scientifici), sia nelle forme narrative (usando in particolare la novella in prosa), sia nei contenuti (usando un repertorio orrido e sepolcrale come il senso del mistero e dell’ignoto). I narratori più importanti sono Iginio Ugo Tarchetti, i fratelli Arrigo e Camillo Boito, Giovanni Faldella, Emilio Praga.
Tarchetti (1839-1869) scrisse un libro di poesie (Disjecta), vari romanzi, tra cui i più importanti Una nobile Follia e Fosca (scritto in prima persona da un soggetto che ricorda un’esperienza dolorosa e riflette su di essa) e diversi racconti. Morì giovane di tisi.
I fratelli Boito furono entrambi scrittori di novelle: di Arrigo (1842-1918) ricordiamo i racconti L’alfier nero, resoconto di una partita a scacchi, Iberia e La musica in piazza; di Camillo (1836-1914) ricordiamo la raccolta di novelle intitolata Nuove storielle vane che contiene il famoso racconto Senso.
Giovanni Faldella è il maggior rappresentante della Scapigliatura in Piemonte, nasce e muore a Saluggia (1846-1928). Di lui ricordiamo, in particolare, Figurine, dodici bozzetti di campagna; Rovine e Madonna di fuoco e Madonna di neve. Inoltre egli è un grande innovatore sul piano linguistico: unisce termini del Cinquecento a piemontesismi.
Emilio Praga (1839-1875) pubblica tre raccolte di poesie: Tavolozza, Penombre (dove esprime più compiutamente la sua poetica), Fiabe e leggende; la raccolta Trasparenze viene, invece, pubblicata dopo la sua morte. Ricordiamo anche un suo romanzo Memorie del presbiterio. Scene di provincia, rimasto incompiuto.
4. Il Naturalismo francese e Zola
Il Naturalismo come movimento letterario nasce fra il 1865 e il 1870 in Francia; accogliendo i princìpi del Positivismo e le concezioni del filosofo Hippolyte Adolphe Taine (1828-1893) la corrente sceglie la realtà quotidiana come oggetto privilegiato di osservazione e narrazione impersonale. Il narratore intende adesso studiare il meccanismo degli eventi per rappresentarne le cause e le conseguenze in modo oggettivo. Il Naturalismo rappresenta il punto conclusivo della stagione realista: porta avanti il filone del romanzo moderno inaugurato da Balzac, Flaubert e Stendhal.
Émile Zola (1840-1902) nella prefazione alla seconda edizione di Thérèse Raquin (storia di due amanti che uccidono il marito di lei e poi arrivano ad accusarsi a vicenda davanti alla vecchia Raquin che non può denunciarli poiché muta) si dichiara per la prima volta “scrittore naturalista” usando il termine “naturalista” per indicare una scuola di scrittori che scrivono senza introdurre filtri romanzeschi. Un’applicazione del metodo scientifico da parte di Zola si ritrova fra il 1868 e il 1870 quando elabora un ciclo di venti romanzi intitolato Rougon Macquart, in cui viene indagata la «storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo impero», pubblicandone il primo romanzo La fortune des Rougon nel 1871 con una prefazione che ha il valore di manifesto del Naturalismo. Egli teorizza le caratteristiche della nuova poetica e i suoi interventi teorici nel volume Il romanzo sperimentale. I punti fondamentali di questo libro sono: il rifiuto della letteratura romantica e dei canoni tradizionali del bello; affermazione della teoria dell’impersonalità e del metodo scientifico (il romanzo viene visto come strumento di indagine antropologica). Si noti che a differenza del romanzo della prima metà dell’Ottocento, il protagonista non è un eroe, ma una persona comune (ad esempio Zola descrive il mondo operaio e in Gérminal le lotte dei minatori); la narrazione, invece, su cui si fondava il romanzo ottocentesco, viene sostituita dalla descrizione.
5. Il Verismo italiano e Capuana
Le tesi naturaliste sono accolte in Italia alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento e i suoi principali esponenti sono tre siciliani Luigi Capuana (1839-1915), Giovanni Verga (1840-1922) e Federico De Roberto (1861-1927): i primi due elaborarono la loro teoria a Milano, a contatto con gli ambienti più avanzati della cultura scapigliata. Il critico letterario Francesco De Sanctis (1817-1883), di cui Capuana si considera allievo, nei saggi Studio sopra Emilio Zola del 1878 e Zola e l’Assommoir del 1879 evidenzia la necessità di collegare la letteratura alla società. Fu l’uscita dell’Ammazzatoio (1877) a determinare sia il consenso di De Sanctis, sia la svolta verista di Verga e Capuana; per la prima volta le masse popolari diventavano protagoniste, lo stesso titolo, l’Ammazzatoio (traduzione di l’Assommoir),allude all’osteria che uccide gli operai. Il Verismo italiano accetta la cultura positivistica, ma sottolinea meno “il momento scientifico”; fa propria la teoria della necessità di muovere dai livelli bassi della scala sociale verso quelli più alti. Inoltre, gli scrittori veristi preferiscono descrivere la vita autentica della campagna, non toccata dalla modernità, a differenza dei naturalisti che sceglievano, come sfondo dei loro romanzi, realtà urbane più complesse. I veristi elaborano un italiano accessibile a tutti colorato dal parlato popolare.
Luigi Capuana è il principale teorico della corrente e a questa lega la propria produzione narrativa: l’osservazione dei fatti, la ricostruzione del contesto, la tecnica dell’impersonalità caratterizzano i romanzi Giacinta e Il marchese di Roccaverdina. Il primo, dedicato allo stesso Zola, parla di una donna segnata sin dalla giovinezza dalla violenza di uno stupro subito; il secondo, invece, racconta il dramma psicologico di un nobile che costringe la sua amante di umili condizioni a sposarsi con un suo subordinato; la vicenda diviene un vero e proprio caso clinico perché, prima la gelosia e poi il rimorso, conducono il nobile marchese alla pazzia. La narrazione si svolge per analessi, attraverso la tecnica del flash-back. Oltre ai romanzi, Capuana pubblica due raccolte di novelle: Le appassionate e Le paesane; sul piano teorico, invece, raccoglie i suoi scritti critici su Zola e Verga negli Studi sulla letteratura contemporanea per promuovere il metodo oggettivo e impersonale finalizzato ad una narrativa come studio di documento umano. Egli si impegnò anche nella produzione favolistica, scrisse C’era una volta…, Il regno delle Fate, Il raccontafiabe e Chi vuole fiabe, chi vuole?