1. L’arte di interpretare i testi da Platone al ’900
La parola greca hermeneuein vuol dire “portare un messaggio”, annunciare, trasmettere, per cui l’ermeneutica altro non è che la “tecnica dell’interpretazione” e che dall’inizio si identifica con la lettura critica dei “testi basilari” della cultura dell’occidente (religiosi, letterari, giuridici).
Se questo è l’“approccio tradizionale” (v. paragrafo seguente) non è così da Gadamer in poi perché l’interpretazione abbandona l’analisi letteraria, giuridica e testuale per mirare a scoprire la verità, spostandosi dal terreno letterario a quello “ontologico” che trova la sua sintesi più completa in Heidegger: l’essere è inteso come “evento” e come “temporalità” e, dunque, come tempo-storia-linguaggio.
Platone definisce i poeti hermenès (messaggeri) degli dei, ma allo stesso tempo considera l’ermeneutica una tecnica (applicabile ad esempio all’interpretazione degli oracoli) che di per sé non presuppone conoscenza, in quanto il messaggero non sempre comprende il senso di ciò che trasmette, né ha titolo per controllarne la validità.
Aristotele fa rientrare l’hermeneias (ermeneutica) nella logica, e considera l’interpretazione come la funzione che media tra i pensieri dell’anima e la loro espressione linguistica.
Nel mondo ellenico si contrapposero due scuole filologiche:
lascuola di Alessandria, attenta a verificare la versione originaria di tanti testi tradotti e concentrata su un metodo letterale storico-grammaticale che correlava tra loro passi diversi di uno stesso autore;
la scuola di Pergamo, che trascura l’aspetto letterale del testo, per dedicarsi a un’interpretazione allegorica tendente ad adattare i testi della tradizione alla mentalità di un’epoca più evoluta.
La distinzione tra “letterale” e “allegorico” compare anche nella tradizione ebraico-cristiana...