1. La vita
Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre del 1896 da agiata famiglia borghese. Frequenta le scuole tecniche dei padri barnabiti, diplomandosi nel 1915 come ragioniere; ma nutre d’altra parte una profonda passione per la musica e per la letteratura (grazie a sua sorella Marianna, studentessa di filosofia), appuntando le sue riflessioni nel Quaderno genovese, un diario tenuto nel 1917 e pubblicato postumo nel 1983. Nell’estate del 1917 Montale si arruola offrendosi come volontario e viene mandato a Vallarsa in Trentino in un reggimento di fanteria. Dopo il congedo con il grado di tenente, ritorna a Genova e conosce vari autori, tra cui Italo Svevo e Umberto Saba e avvia un’attività di critico e giornalista che durerà un decennio pubblicando versi, saggi e articoli sulle riviste “Primo Tempo”, “Il convegno”, “Il Baretti”, “L’Esame” e “La Rassegna”. Del 1922 è la raccolta Accordi, uno scritto che si pone in linea con il Simbolismo europeo e con gli studi musicali; del 1925, invece, Ossi di seppia. Inoltre, in quest’anno il suo nome compare su “Il Mondo” fra i sottoscrittori del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce.
Nel 1927 il poeta si trasferisce a Firenze, dove è assunto come impiegato dall’editore Bemporad e ricopre il suo primo incarico noto, quello di direttore del Gabinetto Vieusseux; in questi anni stringe amicizia anche con Carlo Emilio Gadda, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini e il poeta angloamericano Thomas Stearns Eliot. Nel 1928 esce la seconda edizione degli Ossi di seppia, accresciuta di sei componimenti; l’anno successivo, Montale è chiamato a dirigere il Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux, un ruolo che ricopre per nove anni fino a quando non viene licenziato nel 1938 per aver rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Questo periodo si dimostra per Montale proficuo dal punto di vista poetico: pubblica il suo secondo libro di versi, Le occasioni (1939) e traduce Shakespeare, Eliot, Ezra Pound, Melville e Fitzgerald; raccoglie alcuni versi scritti in Finisterre. Inoltre, viene chiamato a far parte del Comitato per la cultura e l’arte e s’iscrive al Partito d’Azione, ma ne esce poco dopo (nel 1946). Nel 1948 Montale si trasferisce a Milano per ricoprire l’incarico di redattore del “Corriere della Sera” e nel 1954 accetta l’incarico di critico musicale del “Corriere d’Informazione”. Qualche anno prima aveva conosciuto a Torino la poetessa Maria Luisa Spaziani, di cui si innamora e che chiama in diversi testi con il soprannome di Volpe, alla quale dedica i Madrigali privati che confluiscono, insieme a Finisterre e ad altre poesie, nel suo terzo libro di poesie intitolato La bufera e altro, pubblicato nel 1956 seguito dalla raccolta di prose Farfalla di Dinard. Successivamente, nel 1966 pubblica Xenia, un volume singolo che poi confluisce nella raccolta Satura del 1971; due anni dopo pubblica il Diario del ‘71 e del ‘72 e nel 1977 Quaderni di quattro anni. Negli ultimi anni della sua vita riceve diversi riconoscimenti, tra cui, la laurea honoris causa dalle Università di Milano, Cambridge, Roma e Basilea; la nomina a senatore a vita nel 1967 e nel 1975 riceve a Stoccolma il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano nel 1981.
2. Il pensiero e la poetica
Montale esplora nella sua poetica un vero e proprio disagio esistenziale: il senso di angoscia ed estraneità, rispetto ad uno specifico ambiente, rispecchia il disagio dell’uomo e dell’intellettuale del Novecento, privato di ogni certezza a causa dei meccanismi della società di massa. Giova segnalare che Montale ha, fra le sue formazioni filosofiche, quella di Arthur Schopenhauer, il cui uomo appare condannato a un profondo disagio. L’unica soluzione è per Montale assumere un atteggiamento di distacco, vivendo isolati, nel tentativo estremo di difendere e preservare la funzione dell’intellettuale. Questo disagio esistenziale non viene espresso da Montale con riflessioni astratte, bensì con una serie di immagini pregnanti basate su elementi e oggetti della realtà umile e concreta: le cose diventano simboli dell’emozione provata dal poeta (teoria del “correlativo oggettivo” che viene elaborata nel 1919 dal poeta Thomas Stearns Eliot). Nella raccolta Ossi di seppia, gli oggetti sono in particolare elementi naturali e talvolta sono metafore del «male di vivere», a differenza della raccolta Le occasioni, dove troviamo oggetti che sono dettagli di ambientazioni urbane forniti al lettore senza un commento che facili l’associazione tra il dato concreto e il suo significato astratto. La riflessione sul vissuto personale percorre tutta l’opera poetica di Montale (si noti, però, che la guerra è relegata ad un ruolo secondario), ma a differenza di tanti poeti del Novecento, il ricordo è destinato nelle sue poesie a svanire rapidamente (il tempo rappresenta un fattore ostile). La scrittura di Montale ricorda da vicino l’esperienza sull’inettitudine a vivere dei crepuscolari e “attraversa” Gabriele D’Annunzio per poi rovesciarlo: la sua poesia si rivela più autentica e dura, talvolta per la forte concentrazione semanticae per le frequenti omissioni e si dimostra sin da subito estraneo al modello del poeta-vate.
La poesia di Montale mostra due fasi distinte: la prima (con Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro) vede un lessico asciutto e antilirico; versi e componimenti piuttosto ampi e riprendono le forme metriche della tradizione. Questa fase della sua poetica rivela una concezione elitaria della sua poesia, intesa come baluardo dei valori più alti della civiltà umanistica. La seconda fase (da Satura in poi) trova uno stile volutamente basso, che imita in chiave comica e parodistica la confusione dei linguaggi contemporanei, con un discorso spesso sentenzioso ed un andamento frammentario: la poesia per poter sopravvivere deve essere trasformata in “non-poesia” e rispecchia la sua funzione marginale all’interno della società moderna.
3. Ossi di seppia e Le occasioni
La raccolta Ossi di seppia è pubblicata nel 1925 e poi con varianti nel 1928, nel 1931 e nel 1942. Gli ossi di seppia del titolo rappresentano i residui della parte calcarea di quei molluschi, che il mare restituisce alla riva, dopo le mareggiate e rappresentano un perfetto correlativo oggettivo dello stato d’animo dominante nella raccolta: la lucida consapevolezza di un «male di vivere» che non ha vie di fuga; di un vivere in totale disarmonia con la realtà circostante. La traccia di ciò che resta dopo l’azione di erosione operata dalla natura, allude dal punto di vista ideologico ad una condizione esistenziale inaridita.
La raccolta comprende sessantuno testi suddivisi in quattro sezioni: Movimenti (13 testi incentrati sull’opposizione fra mare e terra, natura e città), Ossi di seppia (22 testi sul «male di vivere» che utilizzano la tecnica del correlativo oggettivo), Mediterraneo (9 componimenti che hanno come unico tema il mare), Meriggi e ombre (15 testi incentrati su un’ipotesi di salvezza); le 4 sezioni sono precedute da una poesia che funge da premessa, In limine, che ha funzione di preambolo, e sono seguite da un testo, Riviere, che è quello conclusivo.
Il tema centrale è un io che percepisce una condizione esistenziale inaridita ma che rimane alla costante ricerca di una speranza: questo sentimento è simboleggiato dal paesaggio ligure, compreso tra il mare e le colline. Se da un lato la secchezza comunica il sentimento doloroso dell’esistenza; dall’altro l’immutabilità del mare diviene emblema di salvezza favorendo la sospensione del tempo. L’ipotesi di un abbandono nei confronti della natura emerge soprattutto nei componimenti della sezione intitolata Mediterraneo, dove Montale si rivolge direttamente al mare senza però vivere l’esperienza panica di D’Annunzio con la sua idea di fusione nella natura. Per Montale non è più possibile una poetica simbolista: la parola ribadisce la mancata identificazione dell’io poetico con la realtà.
L’opera rivela un riavvicinamento alla tradizione, ad esempio, i componimenti preferiscono la forma libera, l’endecasillabo, il settenario o il novenario; le forme tradizionali sono, però, riprese con soluzione insolite: rime imperfette, rime al mezzo, assonanze, consonanze; e la struttura sintattica è complessa (talvolta la principale si trova alla fine del periodo). Le figure di suono sono frequenti nei componimenti, tra queste, troviamo allitterazioni, paronomasie, onomatopee. Il vocabolario utilizzato nella raccolta è vario e ampio: ci sono termini usati anche una sola volta, spesso coniati dall’autore come dispiumaree lameggiare e tratti dal campo semantico musicale o marinaresco.
La seconda raccolta poetica di Montale si intitola Le occasioni ed è pubblicata per la prima volta nel 1939, segue poi l’anno successivo una seconda edizione che contiene 54 componimenti. I testi, scritti fra il 1926 e il 1940, si dispongono in quattro sezioni con un componimento iniziale, Il Balcone, e uno finale, Notizie dall’Amiata (chiaro è l’intento del poeta di riprendere l’organizzazione interna di Ossi di seppia). La prima sezione alterna richiami a varie figure femminili e immagini di viaggio da cui affiorano ricordi fissati nella memoria; la seconda, intitolata Mottetti, si basa sulla lontananza della donna amata, Clizia, e sull’attesa del suo ritorno; la terza è formata dal poemetto I tempi di Bellosguardo e tratta il problema della crisi della civiltà letteraria; l’ultima sezione pone una riflessione sul tempo e sul recupero della memoria.
Mentre in Ossi di seppia l’ambientazione è naturale, nelle Occasioni è urbana: la Toscana (in questo periodo il poeta abita a Firenze) si alterna ad altri luoghi in Italia e all’estero (Parigi, Austria, Inghilterra). Anche il tempo si dimostra nella raccolta discontinuo e frammentario: lo stesso titolo allude a poesie collegate a determinate occasioni dell’esperienza dell’autore da cui nasce l’espressione poetica. Il tema fondamentale dell’opera è il senso di esclusione dell’intellettuale dove l’unica forma di salvezza è la cultura, di cui è simbolo il personaggio di Clizia (donna angelo). La raccolta si presenta come un canzoniere d’amore costruito sul dialogo tra il poeta e la donna ormai lontana; contemporaneamente compaiono anche altre donne nei testi, Dora Markus, Gerti e Liuba, tutte di origine ebraica e condannate alla fuga: sono loro a veicolare le “occasioni”, momenti che interrompono la banalità della vita quotidiana. Nell’opera lo stile si innalza e il registro diventa monolinguistico e aulico; dal punto di vista metrico l’approccio è più tradizionale, l’autore sceglie l’endecasillabo e il settenario; la sintassi è caratterizzata da frequenti interrogative ed ellissi.
4. La prosa e l’ultimo Montale
Montale comincia la sua attività di prosatore a partire dagli anni Quaranta. A questo tipo di scrittura appartengono la raccolta Farfalla di Dinard (1956) che raccoglie i racconti brevi usciti sul Corriere della Sera e sul Corriere dell’Informazione a partire dal 1946 e Fuori di casa, una silloge di racconti elaborata durante alcuni viaggi di Montale. In questo spazio possiamo collocare anche gli interventi giornalistici sulla cultura e sulla società contemporanea, scritti fra il 1945 e il 1960 e inseriti nel volume Auto da fé, dove rende note le motivazioni politiche e culturali che hanno dettato le sue scelte. Le sue recensioni ai poeti sono, invece, conservate nel volume Sulla poesia (1976).
Le ultime raccolte di Montale sono Diario del ‘71 e del ‘72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977) e Altri versi (1980) che accentuano il sarcasmo verso una realtà degradata.
5. Analisi dei seguenti testi
NON CHIEDERCI LA PAROLA
METRO: componimento formato da tre quartine, con prevalenza di endecasillabi; i vv. 2 e 10 sono doppi settenari. Le rime sono incrociate nelle prime due quartine, secondo lo schema ABBA, CDDC e alternate nella terza EFEF; ai vv. 6-7 la rima è ipermetra («amico» : «canicola»).
TESTO
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
ANALISI
Il componimento è scritto nel 1923 e apre la sezione Ossi di seppia della raccolta. Non chiederci la parola contiene importanti dichiarazioni di poetica per via negativa, nella convinzione che sia possibile esprimere soltanto ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. Difatti in questa poesia l’autore riprende la polemica contro i poeti che ambiscono a rivelare grandi verità, dichiarando che il ruolo della poesia non ha più valenza positiva, ma può essere definita solo in negativo: egli propone una poesia antilirica dalla forma scarna e secca. Con l’indicazione temporale «oggi», posta al centro del v. 11, Montale pone un distacco tra i poeti della generazione passata e quelli della nuova.
v. 1 chiederci: Montale utilizza la prima persona plurale noi, rivolgedosi al lettore utilizzando il tu. L’espressione che squadri da ogni lato sta per “che definisca con precisione”. Inoltre, si veda la congiunzione non posta in incipit della prima strofa (tornerà anche nella terza strofa) che rovescia al negativo le possibili definizioni della poesia.
v. 2 informe: privo di forma definita e quindi disorientato. L’espressione lettere di fuoco sta per “lettere impresse in modo indelebile”.
v. 4 il croco è il fiore dello zafferano a forma d’imbuto.
v. 5 sicuro è latinismo per “senza preoccupazioni”.
vv. 7-8 e l’ombra… muro: e non si cura della sua ombra che il sole nell’ora più calda proietta su un muro scrostato; la canicola è il caldo afoso del periodo estivo.
v. 9 l’espressione che mondi possa aprirti indica “che possa rivelarti delle verità nascoste”.
v. 10 sì: bensì. Si noti nel verso l’allitterazione della s e l’iperbato che separa l’aggettivo storta da secca: entrambe concorrono a sottolineare la natura aspra della parola poetica.
scelte lessicali scalcinato, storta (antiliriche); croco (più ricercate); polveroso, canicola, secca (appartenenti al campo semantico dell’aridità).
MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO
METRO: componimento formato da quattro strofe, di quattro versi le prime tre, di cinque l’ultima, con misure oscillanti tra il novenario e l’endecasillabo. Le rime si dispongono secondo lo schema AABB; CDCD (con rima ipermetra al v. 7 «intrecciano»); EEFF; GHGGH (con rima imperfetta al v. 15 «travaglio»). L’uso degli infiniti crea una trama di rime interne (vv. 1-3 «Meriggiare» : «ascoltare»; vv. 9-10 «Osservare» : «palpitare» : «mare»).
TESTO
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
ANALISI
Il componimento, scritto del poeta a soli vent’anni, nel 1916, e rivisto nel 1922, in origine si intitolava Tra gli orti, poi Rottami. Meriggiare pur essendo uno dei testi più antichi, contiene alcuni tratti essenziali della poetica montaliana: la centralità degli elementi percettibili della realtà e l’isolamento dell’io. Contenuto nella sezione Ossi di seppia, è il primo testo del poeta ligure, che trova il suo paesaggio: l’arsa e desolata natura mediterranea in cui si riflette la condizione umana (la natura in questo componimento, non si presta a un contatto sereno, ma rispecchia l’aridità dello spirito). Nella prima parte, i dati della realtà si dispongono a chiasmo: prima percezioni uditive, poi visive, di nuovo visive, infine ancora uditive.
v. 1 Meriggiare: indica l’inattività delle prime ore dopo mezzogiorno, le più calde (topos della poesia classica e moderna). Inoltre, l’uso dei verbi all’infinito sposta il discorso dall’io lirico all’intera umanità (dimensione atemporale). I due aggettivi pallido e assorto alludono alla luce bianca che caratterizzano questo momento del giorno: pallido dà l’idea del chiarore pomeridiano e assorto quella del silenzio che avvolge quest’ora.
vv. 3-4 pruni sta per arbusti spinosi; sterpi sta per rami secchi. I suoni si adeguano all’aridità del paesaggio, composto da arbusti spinosi e da sterpaglia secca.
v. 5 veccia: pianta selvatica usata per il foraggio.
v. 8 a sommo… biche: sopra piccoli mucchi di terra; inoltre, la rima formiche–biche è dantesca (Inf. XXIX, 64-66).
v. 9 frondi sta per “fronde” cioè rami con foglie. Nel verso la superficie del mare, mossa dalle onde, è assimilata a un corpo che palpita.
v. 10 scaglie di mare: le onde del mare illuminate dal sole danno l’impressione di essere composte da scaglie.
vv. 11-12 mentre si levano… calvi picchi: mentre le cicale friniscono sulle colline prive di vegetazione. Si noti scricchi dal verbo «scricchiare», voce onomatopeica riferita al frinire delle cicale.
vv. 15-16 il poeta in questi versi riprende il motivo metaforico del muro che impedisce ogni slancio, che non si può oltrepassare e rinchiude come in una prigione l’esistenza umana.
v. 17 cocci aguzzi di bottiglia: frammenti taglienti di vetro, infissi nel muro dell’orto per impedire che i ladri lo scavalchino.
scelte linguistiche rovente muro d’orto, rosse formiche, minuscole biche, calvi picchi, cocci aguzzi (oggetti concreti); schiocchi, scricchi, merli, frusci, tremuli, frondi (prevalgono i suoni duri e aspri); l’ultima strofa è invece condotta sulla ricorrenza del gruppo gl: abbaglia, meraviglia, travaglio, muraglia, bottiglia.
HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO, ALMENO UN MILIONE DI SCALE
METRO: componimento di due strofe di versi di varia lunghezza, con tre endecasillabi di seguito ai vv. 5-7.
TESTO
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
ANALISI
Il componimento è datato al 20 Novembre 1967 e fa parte della serie di Xenia (II, 5) composto per la moglie Drusilla Tanzi scomparsa nel 1963 e chiamata Mosca per gli occhiali molto spessi che portava. Il poeta non può fare a meno di ricordare il viaggio della vita compiuto insieme a lei, anche perché gli unici occhi che vedevano oltre l’apparenza delle cose, con sguardo profondo, erano quelli, pur miopi, della moglie. In Xenia la sintassi si semplifica e il lessico si avvicina al parlato quotidiano (coincidenze, prenotazioni, trappole, quttr’occhi).
v. 1 dandoti il braccio: Montale si rivolge alla moglie Drusilla. L’immagine riprende un gesto intimo e premuroso. Inoltre, si veda l’iperbole almeno un milione di scale.
v. 3 è stato breve il nostro lungo viaggio: antitesi.
v. 5 l’espressione le coincidenze, le prenotazioni, le trappole si riferisce ai diversi inconvenienti dei numerosi viaggi che la coppia faceva insieme: la scelta dell’itinerario ferroviario, le prenotazioni di alberghi e ristorante.
v. 6 scorni: termine gergale per smacchi.
v. 8 si osservi la presenza dell’anafora che ripete, variandolo, l’incipit.
v. 9 non già: ma non. L’espressione con quattr’occhi si intende quelli del poeta e della donna.
v. 11 pupille: sineddoche per gli occhi; offuscate: a causa della miopia.
v. 12 tue: il poeta lega strettamente a sé la figura della moglie attraverso il possessivo che chiude il componimento e rima con due del v. 10.