10. Decimo Giunio Giovenale

1. La vita

Poche e incerte sono le notizie sulla vita di Giovenale, alcune ricavabili dai rari cenni autobiografici presenti nelle sue satire e altre da epigrammi che gli vengono dedicati dall’amico Marziale. Decimo Giunio Giovenale sarebbe stato originario di Aquino, nel Lazio meridionale, dove sarebbe nato tra il 50 e il 60 d.C. (ma, secondo alcuni studiosi, l’anno di nascita sarebbe il 67) da una famiglia benestante, che gli consentì di avere una buona educazione retorica. Esercitò probabilmente, ma senza fortuna, l’avvocatura, per poi dedicarsi, ma solo in età matura, in un periodo che si colloca tra la morte di Domiziano e l’impero di Adriano, alla poesia. Visse, come il più anziano amico Marziale, all’ombra dei potenti, come cliente, ma privo di autonomia economica. Nulla sappiamo della sua morte, sicuramente successiva al 127 d.C., ultimo riferimento cronologico ricavabile dai suoi versi.

2. Le Satire

Giovenale è l’ultimo grande rappresentante della tradizione satirica romana. Pur richiamandosi a Lucilio, senza dimenticare l’influenza di Persio, è in grado, grazie alla sua rabbiosa intransigenza, di infondere una vitalità nuova nella satira. La sua produzione poetica è costituita da sedici satire in esametri, suddivise in cinque libri (libro I: 1-5; libro II: 6; libro III: 7-9; libro IV: 10-12; libro V: 13-16) per un totale di 3869 versi. I rari indizi cronologici ricavabili dalle satire oscillano fra il 100 e il 127 d.C., periodo in cui si deve collocare la loro pubblicazione.

Il dato importante, che riguarda il “modus operandi” di Giovenale, è l’assenza di illusioni sulla realtà. La letteratura si mostra ai suoi occhi come lontana dalla corruzione morale in cui versa Roma tra il finire del I secolo e i primi decenni del II, gli anni che ad altri letterati, parallelamente, sembrano coincidere con una nuova “felicità dei tempi”. Cosa fare di fronte al dilagare del vizio? Servirsi dell’indignatio (indignazione) come musa ispiratrice del poeta e della satira come genere obbligato, tipo di poesia più adatto per esprimere la disapprovazione.

Di conseguenza, nella satira prima, Giovenale espone le ragioni della sua poetica e la necessità di servirsi dell’indignatio, muovendosi in discontinuità rispetto alla tradizione satirica latina. Al contrario di Orazio, infatti, Giovenale non crede che la sua poesia possa influenzare il comportamento degli uomini, giudicati ormai irrimediabilmente corrotti. La sua satira si limiterà pertanto a denunciare, senza fornire una via di riscatto; il suo rifiuto è comunque più generale, investe non solo le forme stesse del ragionamento e del giudizio morale, ma anche le categorie e gli schemi del pensiero moralistico romano.

3. Il secondo Giovenale

A partire dalla settima satira, Giovenale si muove differentemente, assumendo nella sua produzione caratteri diversi: si parla così di “secondo Giovenale”. L’autore rinuncia ad una prospettiva totalmente negativa, in quanto vuole proporre anche comportamenti corretti e positivi e dunque ripercorre quel filone moraleggiante, prevalente nell’opera dei suoi predecessori, di cui si era discostato nelle prime sei satire. Riappare la concezione della diatriba stoica: gli unici veri beni sono quelli interiori, mentre quelli esteriori risultano indifferenti dal punto di vista della felicità. Muta anche la valutazione della ricchezza: nelle prime sei satire era ritenuta la fonte di un potere ingiusto, ora diviene un falso bene desiderabile, a cui gli uomini aspirano in quanto stolti. Gli scritti sono così più pacati, pur non spegnendo del tutto l’impeto; si può dire, infine, che il “secondo Giovenale” sia più variabile: da un momento iniziale, pieno di tensione, passa ad una fase successiva più varia ed eterogenea.

4. Forma e stile delle satire

L’avere come oggetto la realtà quotidiana aveva sempre portato la satira ad adottare un livello stilistico che toccasse l’“umiltà”.  Per Giovenale, invece, dal momento che la realtà ha assunto caratteri eccezionali e che il vizio l’ha popolata di monstra, anche la satira deve avere caratteri “grandiosi”: lo stile, quindi, non sarà più dimesso, ma si avvicinerà all’epica e soprattutto alla tragedia, evitando, però, un tratto essenziale, quello della finzione che Giovenale rifiuterà più volte. Sarà, dunque, una satira realistica, ma con un tono e con una grandiosità di stile conforme alla ferocia dell’indignatio.

La satira, in sintesi, viene accostata alla tragedia, sul terreno dei contenuti (i monstra, cioè cose “incredibili”) e dello stile, analogamente sublime. Ad esempio, troviamo movenze epico-tragiche proprio in coincidenza con i contenuti più bassi e volgari, per far risaltare, in contrasto con la qualità della forma espressiva, il contenuto della materia: il suo realismo è quindi deformante, soprattutto nel tratteggiare scenari di grande asprezza.

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