1. La gestione delle aziende industriali

1. Definizione e classificazione

Si possono definire imprese industriali quelle aziende che, combinando in modo opportuno uomini, macchine, scorte di materiali, energia, conoscenze tecniche e metodi organizzativi, trasformano materiali, energia e servizi in prodotti commercialmente competitivi.

Le imprese industriali sono caratterizzate da:

  • fattori produttivi (input) = insieme delle condizioni di produzione che include ogni elemento o circostanza che direttamente o indirettamente contribuisce a rendere possibile la produzione economica di un bene o servizio: uomini, macchine, materie prime, energia, conoscenze tecniche, metodi organizzativi;
  • processo produttivo = serie di trasformazioni atte alla conversione di una materia prima o di un semi-lavorato in un prodotto finito;
  • prodotti (output) = bene o servizio volto a procurare un beneficio a un utilizzatore, ottenuto attraverso un processo di produzione a partire da risorse iniziali e con un valore aggiunto finale.

Nelle imprese industriali l’attività caratteristica è la trasformazione fisico-tecnica che si concretizza nella trasformazione di materie prime in prodotti finiti.

L’obiettivo delle imprese di produzione è la redditività. Le imprese di produzione devono effettuare una serie di scelte (localizzazione, produzione e approvvigionamenti) per riuscire ad ottenere la redditività massima. Le scelte di localizzazione permettono all’impresa di minimizzare i costi di trasferimento e i costi di trasformazione, come il costo del lavoro, i costi dell’energia, i costi di utilizzo dei beni strumentali, ecc. Le scelte di produzione consentono di ottenere un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti, attraverso il raggiungimento di livelli più alti di efficienza ed efficacia. Le scelte di approvvigionamento hanno il compito di scegliere in modo razionali i materiali e i fornitori per rendere minimi i costi e i rischi relativi agli approvvigionamenti.

La gestione delle imprese industriali si realizza attraverso il susseguirsi di operazioni all’interno di diversi cicli: cicli tecnici, cicli economici e cicli monetari.

Il ciclo economico ha inizio con il sostenimento dei costi per l’acquisizione dei fattori produttivi e si estende fino al conseguimento dei ricavi connessi alla vendita dei prodotti finiti.

Il sostenimento di costi e il conseguimento di ricavi sono accompagnati da uscite ed entrate monetarie, l’intervallo di tempo che intercorre tra queste due operazioni definisce il ciclo monetario.

Il ciclo tecnico si sviluppo dall’immissione delle materie prime nei processi produttivi

all’ottenimento di prodotti finiti. La durata e la struttura del ciclo tecnico dipendono dal tipo di impresa e dal grado di automazione del processo produttivo.

I tre cicli si inseriscono uno nell’altro.

Le imprese industriali possono essere classificate in base a diverse caratteristiche.

Considerando il settore merceologico in cui le imprese operano è possibile individuare all’interno del comparto delle imprese industriali sei rami economici, in base alla classificazione adottata dall’Unione Europea:

  • Agricoltura, silvicoltura e pesca;
  • Estrazione di minerali da cave e miniere;
  • Attività manifatturiere;
  • Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata;
  • Fornitura di acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento;
  • Costruzioni.

Ognuno di questi rami è composto a sua volta da classi che individuano le industrie: alimentari, tessili, meccaniche, chimiche, siderurgiche, del legno, calzaturiere, ecc.

Tra le aziende all’interno delle classi si instaurano relazioni di complementarietà per il comune concorso all’attuazione dei complessi processi economici di produzione e consumo.

Le industrie possono essere classificate in base alla dimensione: industrie piccole, medie e grandi. La dimensione aziendale viene determinata in base al numero di dipendenti, al fatturato realizzato e alle dimensioni del patrimonio aziendale.

Sono considerate grandi imprese quelle che per due esercizi consecutivi superano almeno due dei seguenti parametri: totale di bilancio che supera i 43 milioni di euro, il totale dei ricavi che supera 50 milioni di euro e il numero medio di dipendenti uguale o superiore a 250.

Sono considerate medie imprese quelle con meno di 250 occupati e che realizzano un fatturato annuo non superiore a 50milioni di euro oppure un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro.

Sono considerate piccole imprese quelle hanno meno di 50 dipendenti e un fatturato o bilancio annuo inferiore a 10 milioni di euro. Le micro-imprese occupano meno di 10 dipendenti e hanno un fatturato annuo o bilancio non superiore a 2 milioni di euro.

Un’altra modalità per classificare le imprese è in base alla forma giuridica: impresa individuale o impresa collettiva.

Nell’impresa individuale l’attività è svolta da un unico soggetto, che è anche il titolare dell’impresa e può avvalersi dell’ausilio di collaboratori.

Il titolare dell’impresa è l’unico soggetto responsabile della gestione d’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.

Per la costituzione di un’impresa individuale non è necessario un atto pubblico, è sufficiente l’iscrizione al registro delle imprese.

L’imprenditore individuale agisce e rischia da solo e l’impresa da lui esercitata non gode di soggettività giuridica distinta da quella della sua persona fisica.

Se due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili, allora si parla di società. I soci agiscono e rischiano in gruppo ed è quest’ultimo ad essere gravato del rischio di impresa: il rischio ricade sulla società. Le società devono essere pluripersonali.

Il conferimento di beni da parte dei soci è elemento essenziale per la costituzione della società.

All’origine della società c’è un contratto pluriennale con comunione di scopo, cioè orientato al raggiungimento di un obiettivo comune (divisione degli utili). La società è una forma di unione produttiva di natura economica, costituita per realizzare con i conferimenti effettuati dai soci un utile da ripartire successivamente tra di essi.

Un’altra classificazione può essere fatta secondo le modalità tecniche utilizzate nelle lavorazioni. Si distinguono, quindi tre diversi tipi di imprese:

  • imprese che producono a flusso continuo: imprese che producono un solo tipo di prodotto finito ed il suo processo di lavorazione procede senza interruzioni 24 ore su 24 per diversi giorni consecutivi. Esempio: zuccherifici, cementifici ecc. La particolarità di tali imprese è quella di enfatizzare la capacità produttiva ma rendere il processo produttivo assolutamente rigido;
  • imprese che producono a lotti: caratterizzate da un processo produttivo di tipo intermittente da cui si ottengono diversi tipi di prodotti o stessi prodotti con caratteristiche differenti. Esempio: industrie di abbigliamento, calzature ecc.;
  • imprese che producono beni singoli: imprese caratterizzate da una produzione di articoli con particolari caratteristiche che richiedono specifici studi di progettazione e realizzazione del processo produttivo. Si pensi alla costruzione di edifici, macchinari, aerei ecc.

Nelle aziende del primo tipo la produzione precede la vendita e il prodotto, in prima istanza, è destinato al magazzino nell’attesa che arrivino gli ordini. Queste imprese producono per il magazzino e fabbricano prodotti standardizzati.

Altre imprese, invece, operano su ordinazione o su commessa. La produzione viene, quindi, attivata solo a seguito di un ordine preciso. La commessa può riguardare la realizzazione di un prodotto finito (è il caso, ad esempio, dei lavori su misura) oppure di parti componenti che verranno assemblate all’interno di un processo produttivo gestito da altre imprese; in questo caso l’azienda è definita terzista.

2. Caratteristiche strutturali-organizzative e loro recenti dinamiche

L’organizzazione aziendale può essere considerata come una scelta di uomini e come un criterio da seguire per il loro efficiente ed economico impiego, nel rispetto delle esigenze naturali e morali dei singoli. Un’organizzazione è un sistema, cioè un insieme di tante variabili che sono tra di loro interagenti, ogni sistema è unico e inimitabile.

Le scelte organizzative riguardano:

  • Il disegno della struttura organizzativa dell’azienda, cioè come viene diviso il lavoro, i meccanismi di coordinamento utilizzati, l’articolazione delle responsabilità e la ripartizione dell’insieme delle attività aziendali;
  • I sistemi operativi, cioè come girano le informazioni nell’azienda e quali informazioni girano, i sistemi di pianificazione, programmazione e controllo;
  • la distribuzione del potere organizzativo, che riguarda gli stili di leadership e la distribuzione tra i vari organi aziendali dei diritti e doveri di decisione.

Le scelte organizzative permettono di definire l’assetto organizzativo che definisce la struttura interna e le modalità di svolgimento dei processi aziendali.

Le scelte organizzative vengono effettuate dai vertici aziendali dipendono da una serie di fattori come le dimensioni dell’azienda, la tecnologia produttiva utilizzata, il grado di accentramento o decentramento delle decisioni strategiche.

Dalle scelte organizzative derivano diversi modelli organizzativi:

  • Struttura funzionale
  • Struttura divisionale
  • Struttura a matrice o per progetti

Il modello organizzativo scelto indica i rapporti di dipendenza formale (numero di livelli gerarchici), il raggruppamento degli individui in unità organizzative e la progettazione di sistemi che assicurino una comunicazione e un coordinamento efficaci.

Non esiste una struttura organizzativa preferibile alle altre, occorre adottare un approccio contingente, per cui non esiste una soluzione migliore ma tutto dipende dal contesto in cui l’organizzazione si trova.

La struttura funzionale: le attività vengono raggruppate in base a una funzione comune, per cui tutte le conoscenze e le capacità umane riguardo una specifica attività sono consolidate fornendo all’organizzazione una conoscenza approfondita. La struttura funzionale è centralizzata e permette una maggiore specializzazione organizzativa, ma dall’altro lato esistono problemi di coordinamento tra le diverse funzioni. Questo tipo di struttura è da preferire in presenza di un solo prodotto o pochi prodotti perché l’elevata specializzazione causano un irrigidimento del sistema.

La direzione generale svolge i compiti di guida e di coordinamento inter-funzionale delle diverse funzioni (1 livello). Le aree di responsabilità vengono ripartite tra vari direttori competenti in specifiche funzioni aziendali (direttori di funzione, 2 livello): amministrativa, commerciale, produzione…

Per ogni attività di tipo operativo i dipendenti sono raggruppati in unità operative (3 livello).

Punti di forza:

  • Facilita le economie di scala all’interno delle unità funzionali;
  • Sviluppa conoscenze e capacità approfondite;
  • Permette di conseguire unità funzionali;
  • Provoca un aumento della competenza e della professionalità.

Punti di debolezza:

  • Tempo di risposta lento;
  • Può causare un accumulo di decisioni al vertice;
  • Scarso coordinamento orizzontale;Visione ristretta degli obiettivi organizzativi;
  • Difficoltà della diversificazione produttiva.

Questa struttura è caratterizzata da comunicazioni più semplici e migliori nella singola funzione, pronta risposta ai problemi legati alla specifica funzione, maggiore efficienza conseguente al miglior utilizzo delle capacità, economie di scala nelle unità funzionali, controllo dei costi per aree di responsabilità. Dall’altra parte, può creare problemi di coordinamento inter-funzionale. Il coordinamento è demandato esclusivamente alla direzione generale. Se manca coordinamento viene perso di vista l’obiettivo di raggiungere l’economicità globale, aumenta la burocratizzazione e la comunicazione diventa lenta.

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Struttura funzionale, fonte: https://www.mirkocuneo.it/organigramma-aziendale/

La struttura divisionale: al crescere della complessità a causa di scelte espansive, la struttura viene articolata per unità complesse, dette divisioni.

La struttura divisionale è più articolata e complessa, costituita da unità autonome gestite da manager ai quali è affidata la responsabilità dei risultati gestionali parziali. Il criterio di divisione del lavoro è tipicamente impostato sull’output realizzato.

Viene utilizzata per organizzazioni soggette a rapidi cambiamenti. Ogni divisione ha un proprio budget, personale, linee guida e uno staff per individuare le soluzioni migliori.

Ogni divisione solitamente corrisponde ad un’area strategica d’affari, data dalla combinazione di prodotto, mercato e tecnologia omogenea per clienti oppure area geografica. Le divisioni godono di ampia delega decisionale, perciò le organizzazioni sono caratterizzate da decentramento.

Questa struttura viene preferita per organizzazioni con molti prodotti, genera un alto grado di coordinamento tra le funzioni e vengono diminuite le decisioni al vertice, permette lo sviluppo di competenze manageriali di tipo globale e facilita il conseguimento di economie di scopo.

Per ogni divisione viene replicato un assetto funzionale strutturato per rispondere alle specifiche esigenze della divisone.

È presente un eccessivo numero di unità organizzative e questo rende difficile l’integrazione e la standardizzazione ed elimina la specializzazione tecnica.

Questa struttura prevede almeno 5 livelli:

  1. Direzione generale = responsabile della strategia globale dell’impresa
  2. Staff della direzione generale = compiti di consulenza e coordinamento
  3. Direzioni generali di divisione = responsabili del governo di ogni divisione
  4. Direzioni funzionali di divisione = aspetti produttivi, commerciali e amministrativi
  5. Linee operative di divisione = svolgono le attività operative di produzione, amministrazione…
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Struttura divisionale, fonte: https://www.mirkocuneo.it/organigramma-aziendale/

La struttura a matrice o per progetti: viene utilizzata quando sia l’esperienza tecnica che l’innovazione di prodotto sono importanti per raggiungere gli obiettivi organizzativi. Nelle strutture tradizionali esiste un solo criterio di divisione del lavoro e una sola unità di comando. Nella struttura a matrice i manager di prodotto e i manager funzionali hanno la stessa autorità gerarchia duale), questo può generare confusione ma garantisce elevata flessibilità e incoraggia la cooperazione e lo sviluppo sinergico delle competenze. Può generare conflitti tra i responsabili di funzione e i responsabili di progetto.

La struttura a matrice è indicata per le imprese che operano per progetti o commesse.

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Struttura a matrice, fonte: https://www.mirkocuneo.it/organigramma-aziendale/

3.  Fasi tipiche del processo produttivo: acquisizione, trasformazione vendita

Il processo produttivo è il susseguirsi di operazioni e procedure che consentono di trasformare lavoro, impianti, materiali, energia, conoscenze tecniche e servizi in prodotti finiti.

Il processo produttivo può essere ricondotto a tre fasi:

  1. Acquisizione dei fattori produttivi;
  2. Trasformazione;
  3. Distribuzione dei prodotti finiti.

L’output dovrà avere un valore economico superiore, o almeno uguale, a quello degli input del processo, perché l’obiettivo principale della produzione è creare valore.

La scelta del processo produttivo è legata a vincoli tecnologici e vincoli economici. Il vincolo tecnologico consiste nei processi produttivi realizzabili sulla base delle conoscenze tecnologiche e scientifiche dell’impresa o dell’uomo in una determinata epoca. Il vincolo economico consiste nella convenienza economica per l’impresa.

Una volta individuato il processo produttivo più conveniente all’impresa, si procede alla sua attivazione attraverso la progettazione, la pianificazione e la gestione.

La progettazione del sistema produttivo avviene definendo la struttura fisica dell’impresa e le procedure che devono essere attivate per la realizzazione del processo: definizione di come è fatta l’impresa e come opera.

La pianificazione della produzione si realizza con la stesura di piani di produzione in funzione di un generale piano aziendale della domanda. Il piano della domanda individua la quantità di beni che l’impresa dovrà produrre (previsione) per determinare la capacità produttiva necessaria per poter soddisfare le richieste del mercato. La previsione può riferirsi ad un periodo di tempo medio-lungo (3 anni) oppure breve (1 anno).

La pianificazione della produzione è utile per definire le politiche di investimento, la scelta degli impianti e delle tecnologie, la dimensione degli organici, le politiche di sviluppo di nuovi prodotti, come utilizzare al meglio la capacità produttiva e come far fronte ad eventuali variazioni della domanda nel breve termine.

La definizione della capacità produttiva necessaria si realizza nella stesura del Piano Aggregato di Produzione. Il piano di produzione definisce cosa, quanto e quando produrre. Esso riguarda un orizzonte temporale pari a 1 anno ed ha come oggetto di pianificazione parametri quantitativi (numero di pezzi producibili, tonnellate di prodotto finito… a livello complessivo o di famiglie di prodotto). L’obiettivo è conciliare il fabbisogno di capacità produttiva (domanda di mercato) e con la disponibilità effettiva (espressa in ore-uomo e macchina).

Dopo aver confrontato la capacità produttiva necessaria con la capacità produttiva disponibile e aver realizzato gli adeguamenti possibili, il processo di pianificazione continua entrando nel dettaglio attraverso la scomposizione del piano aggregato in una serie di piani principali di produzione riferibili ad ogni singolo prodotto e ad un periodo di tempo più breve (da uno a sei mesi con dettaglio settimanale o mensile).

Il passo successivo consiste nella stesura dei piani operativi di produzione. Questa fase di programmazione strettamente operativa, detta anche scheduling, si riferisce a tempi molto brevi, e consiste nell’assegnare ai vari centri di lavoro gli ordini in termini di quantità da produrre, dopo aver determinato i tempi di realizzazione e avere verificato la disponibilità dei materiali occorrenti.

La gestione della produzione è l’insieme delle operazioni che, utilizzando le risorse del sistema produttivo predisposte nelle fasi precedenti, consente di realizzare i prodotti desiderati. Definiti la struttura del processo produttivo e il risultato che si vuole ottenere in termini di mix di prodotti (specificato in quantità e scadenze), si passa alla messa a punto dei cicli di lavorazione necessari, delle attrezzature, delle procedure di controllo della qualità ecc., dopo di che la gestione del piano della produzione definirà le procedure di programmazione della produzione e di gestione dei materiali.

La gestione dei materiali occorrenti può essere realizzata con diversi metodi sostanzialmente riconducibili a due logiche di fondo:

  • La logica pull (tirare): da valle a monte = è la domanda che avvia il processo produttivo; quindi, viene prodotto solo ciò che viene richiesto dal mercato;
  • la logica push (spingere): da monte a valle = la produzione avviene senza che ci sia una richiesta esplicita di mercato, è l’offerta che spinge verso il mercato i suoi prodotti, la produzione avviene in base alla domanda prevista.

La pianificazione del processo produttivo è subordinata alla fissazione di obiettivi da parte della direzione generale, perciò verrà effettuato un controllo focalizzando l’attenzione sugli obiettivi che ci si era preposti di raggiungere.

Le prestazioni attese e quindi da controllare possono essere riferite a:

  • produttività = rapporto tra input impiegato e output ottenuto -> misura l’efficienza di un processo produttivo e dei singoli fattori impiegati;
  • qualità dei prodotti = capacità di un prodotto di soddisfare le aspettative del cliente -> misura l’efficacia;
  • servizio = comprende tutte le attività accessorie connesse all’utilizzo del prodotto da parte del cliente;
  • flessibilità = capacità di un processo produttivo di far fronte in modo tempestivo e a costi ragionevoli a variazioni della domanda -> capacità di ideare e realizzare un nuovo prodotto, capacità di far fronte a variazioni nella quantità richiesta dovute a stagionalità o ciclicità della domanda, capacità di modificare l’assortimento dei prodotti.

4.  Problematiche e calcolo di costi e rendimenti

Il costo di produzione è la somma di tutti i costi che l’impresa deve sostenere per acquistare i fattori utilizzati per realizzare una determinata quantità di prodotto.

Il costo totale di produzione è composto da costi fissi e costi variabili:

  • Costi fissi: costi che non variano al variare del livello di cost driver (quote di ammortamento macchinari). Rimangono invariati al variare della quantità prodotta, tranne nel caso in cui i volumi aumentano in modo costante. Si dividono in costi fissi di struttura e costi fissi di sviluppo. I costi fissi di struttura sono strettamente connessi alla capacità produttiva in essere dell’azienda in un certo momento (volumi di produzione e di vendita). I costi fissi di sviluppo sono i costi destinati a sostenere l’attività corrente e a porre le condizioni per lo sviluppo futuro dell’azienda. Costi fissi totali (CFT) = K (costante);
  • costi variabili: costi che variano in funzione dell’oggetto di costo che si osserva e variano al variare del volume di attività. Sono correlati al volume di produzione e di vendita (materie prime lavorazioni esterne, manodopera). Si presume che tra i volumi e i costi variabili ci sia una relazione lineare. A fronte di ogni incremento unitario nei livelli di attività, i costi variabili crescono di un ammontare costante, detto costo variabile unitario. Costi variabili totali (CVT) = CVU x q (quantità prodotta).

Sommando i costi fissi e i costi variabili si ottengono i costi totali di produzione. Dividendo i costi totali per il numero dei beni prodotti si ottiene il costo medio.

I costi totali complessivi aumentano all’aumentare dei volumi, mentre il costo medio diminuisce man mano che ci si avvicina al limite massimo di utilizzo della capacità produttiva perché i costi totali vengono ripartiti su un numero maggiore di unità.

Le imprese di grandi dimensioni hanno la possibilità di realizzare delle economie di scala ripartendo i costi fissi su un numero maggiore di prodotti finiti per avere costi medi inferiori all’aumentare della dimensione produttiva.

Nel lungo periodo tutti i costi diventano variabili, mentre nel breve periodo c’è una componente di costi fissi.

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Costi di produzione

La funzione dei costi totali di produzione è la traslazione verso l’alto della funzione dei costi variabili in base al valore dei costi fissi.

La funzione dei costi fissi è una retta parallela all’asse delle ascisse ed è costante, mentre la funzione dei costi variabili tende a crescere in maniera meno che proporzionale.

Il costo medio rappresenta il costo per un’unità di output: CT/Q.

La curva del costo medio è una parabola con un punto di minimo (u-shaped). La curva inizialmente è decrescente a causa di spese fisse che vengono ripartite su un piccolo numero di unità di prodotto che man mano aumenta determinando la diminuzione del costo medio, successivamente la curva cresce come conseguenza all’ulteriore aumento del volume di produzione.

Il costo marginale quantifica la variazione di costo a fronte di una modifica marginale dell’output, ovvero l’incremento che subisce il costo totale quando la produzione aumenta di un’unità.

CM = ΔCT/Δ𝑄

Allo stesso modo, anche la curva di costo marginale è u-shaped, perché inizialmente basta una spesa esigua per l’acquisto di fattori produttivi per ottenere unità addizionali di prodotto ad un costo inferiore, successivamente il decrescere della produttività marginale dei fattori produttivi comporta un incremento delle spese che occorre sostenere per ottenere ulteriori unità di prodotto e quindi il costo marginale aumenta.

La curva del costo marginale interseca quella del costo medio nel punto di minimo del costo medio (punto di fuga), perché se il prezzo di un prodotto dovesse scendere al di sotto di esso, l’impresa sarebbe costretta ad abbandonare il mercato.

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Intersezione tra costo medio e costo marginale

Costi sommersi (sunk) = sono un altro tipo di costi fissi, sono costi irrecuperabili, cioè costi già sostenuti e che non possono essere recuperati dall’impresa e per cui l’impresa non può decidere di non sostenerli più.

Le imprese possono migliorare la produttività attraverso una più razionale utilizzazione dei mezzi, traendone dei vantaggi (economie) che permettono di ridurre i costi medi.

Le economie interne sono dovute alla migliore organizzazione del processo produttivo conseguente ad una più razionale divisone del lavoro, con l’impiego di macchine più specializzate e perfezionate e con tecnici dotati di maggiore esperienza.

Le economie esterne derivano dal progresso generale delle tecnologie, dal perfezionamento dei mezzi di trasporto e dei servizi bancari e commerciali, dalla prossimità delle infrastrutture e dall’agglomerazione di attività complementari in una stessa località.

Tra le economie interne rientrano le economie di scala, ovvero la riduzione del costo medio di produzione all’incremento dei volumi di produzione. Esse possono essere realizzate solo nelle grandi dimensioni dell’impresa perché per ridurre i costi medi sono necessari grandi volumi di produzione.

Le economie di scala portano una serie di vantaggi all’impresa:

  • minori costi medi perché i costi fissi vengono ripartiti su un numero maggiore di prodotti finiti
  • maggiore forza contrattuale per ottenere migliori prezzi di acquisto per le materie prime e i semilavorati
  • migliore specializzazione produttiva e divisione del lavoro permettono di ripartire i compiti tra lavoratori specializzati ottenendo una produttività maggiore
  • migliore utilizzo di tutti i fattori produttivi disponibili per sfruttare sinergie
  • le imprese di grandi dimensioni possono ottenere più facilmente dei crediti bancari
  • maggiore possibilità di innovare e migliorare la qualità del prodotto

L’obiettivo di ogni impresa è quello di minimizzare i costi, quindi l’impresa, dati i prezzi dei fattori di produzione, deve rispettare il vincolo di costo che esprime i costi minimi necessari per produrre Y unità di output quando i prezzi dei fattori sono dati. Il comportamento di minimizzazione dei costi impone alcune restrizioni alle scelte dell’impresa.

Massimizzazione dell’output con vincolo di costo: l’imprenditore deve scegliere la migliore combinazione produttiva rispettando la funzione dell’isocosto.

In questo caso la quantità massima di output che l’imprenditore può produrre si trova nel punto di tangenza tra l’isocosto e l’isoquanto più alto possibile, compatibile con l’isocosto.

La migliore combinazione produttiva è la combinazione ottima dei due input produttivi che consentono di ottenere il profitto più alto possibile, compatibilmente con l’isocosto identificato.

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L’equilibrio del produttore

Il punto A è il punto dove l’imprenditore otterrà la massima produzione possibile, sostenendo costi minimi. Dall’altro lato, anche i punti B e C sono compatibili con la funzione dell’isocosto, ma in questo caso la produzione sarebbe inferiore perché entrambi i punti sono situati su un isoquanto inferiore rispetto al precedente quindi la quantità prodotta sarà minore.

Nel punto di equilibrio del produttore (A) deve essere rispettata la condizione di tangenza, perciò la pendenza dell’isoquanto e dell’isocosto deve essere uguale:

  • Pendenza dell’isoquanto è il saggio marginale di sostituzione tecnica
  • Pendenza dell’isocosto è il rapporto tra i prezzi dei fattori produttivi

Condizione di efficienza economica: SMST = – pK/pL

Rendimenti di scala: fanno riferimento alla scala della produzione = esprimono come varia l’output dell’impresa se si modificano contemporaneamente e nella stessa proporzione tutti gli input.

Se l’impresa raddoppia la quantità dei fattori impiegati e la produzione aumenta più del doppio, allora il processo produttivo è efficiente e i rendimenti di scala sono crescenti. In questo caso i costi aumentano meno che proporzionalmente rispetto all’output.

Se l’impresa decide di raddoppiare la quantità di fattori impiegati e l’output raddoppia, allora i rendimenti di scala sono costanti. In questo caso il processo produttivo iniziale viene replicato.

Se l’impresa raddoppia la quantità dei fattori impiegati e l’output aumenta meno del doppio, allora i rendimenti di scala sono decrescenti e questo causa problemi di inefficienze organizzative.

5.  Contabilità analitica: rilevazioni contabili ed extracontabili

La contabilità analitica è un processo interno e rappresenta il sistema delle rilevazioni che consentono di rilevare i costi e i ricavi al fine di effettuare un’analisi economica delle decisioni prese e della programmazione d’impresa, effettuare calcoli di convenienza economica per orientare le decisioni aziendali, controllare analiticamente e con periodicità infra-annuale i risultati economici della gestione operando opportuni confronti tra i costi effettivamente sostenuti e quelli presi come termini di confronto.

La contabilità analitica si occupa si occupa solo dell’aspetto economico e non di quello finanziario. Occorre confrontare i costi e i ricavi stimati e valutare l’economicità dei vari prodotti per individuare quelli di cui potenziare la produzione e quelli da ridurre o eliminare.

La contabilità analitica permette alla direzione generale di seguire nel breve periodo l’andamento dei differenti settori della gestione allo scopo di poter decidere tempestivamente le opportune azioni di intervento. Inoltre, occorre sempre verificare il raggiungimento degli obiettivi fissati attraverso il confronto tra dati standard e dati consuntivi, analizzando poi gli scostamenti.

La contabilità analitica consiste nel processo di registrazione, classificazione, analisi, riepilogo e allocazione dei costi associati a un processo per sviluppare poi un controllo dei costi. L’obiettivo è quello di permettere al management di raggiungere un maggiore livello di efficienza.

Gli elementi che costituiscono la contabilità analitica sono:

  • Materiali = acquisti -> materiali che contribuiscono direttamente alla realizzazione del prodotto finale oppure materiali che contribuiscono indirettamente all’ottenimento del prodotto;
  • Lavoro manuale -> lavoro che contribuisce direttamente alla creazione del prodotto finale e lavoro esterno necessario all’ottenimento del prodotto;
  • Spese ed altri costi extra: spese di amministrazione, spese di vendita, spese di distribuzione, spese per manutenzione e riparazione delle attrezzature, spese per servizi (gas, elettricità…), spese per immobili (affitto, mutuo…), ammortamenti…

Ai fini della classificazione, i costi vengono raggruppati in base alle loro caratteristiche comuni: per natura (diretti o indiretti), per funzione, per comportamenti (fissi o variabili), per capacità di controllo (controllabili o incontrollabili), per normalità, per tempo (storici o predeterminati).

Lo scopo principale della contabilità analitica è quello di permettere un controllo di gestione efficace per essere uno strumento di supporto alle decisioni strategiche della direzione. In questo modo, l’impresa può individuare le attività che generano margine e quelle che sono in negativo o danno poco margine.

Funzioni della contabilità analitica:

  • Decidere la convenienza economica di un’attività;
  • Verificare quanto un processo operativo sia efficiente e produttivo;
  • Stabilire il prezzo di vendita dei prodotti.

Nella contabilità analitica i costi vengono riclassificati in base alla destinazione dei fattori produttivi.

Differenti classi di costo:

  • Costi variabili (variano al variare delle unità prodotte) e costi fissi;
  • Costi diretti e costi indiretti;
  • Costi fissi specifici e costi fissi comuni;
  • Costi comuni (utilizzo lo stesso fattore produttivo per più di una linea di prodotto) e costi congiunti;
  • Costo di prodotto e costo di periodo;
  • Costi eliminabili e costi ineliminabili;
  • Costi differenziali;
  • Costi incrementali, costi marginali e costi sommersi;
  • Costi out of pocket (finanziari che non corrispondono a un esborso di denaro), costi contabili (non numerari), costi opportunità (mancato ricavo);
  • Costi controllabili e costi non controllabili;
  • Costi figurativi;
  • Costi di breve e costi di lungo termine.

È necessario capire quali costi attribuire ad ogni singolo prodotto e quindi esistono delle metodologie che permettono di capire il costo effettivamente sostenuto per realizzare il prodotto.

Configurazioni di costo in base alle tipologie di risorse per misurare il costo pieno unitario di prodotto:

  • Direct cost = il costo diretto di produzione è costituito da soli costi diretti, vantaggio è che non c’è bisogno di stime (costi diretti commerciali sono costi commerciali direttamente imputabili al nostro prodotto = provvigioni, cioè un costo riconosciuto al venditore per ogni unità di prodotto, spesso vengono espressi come percentuali del prezzo unitario) -> costo più certo e più collegato al processo produttivo.
  • Full cost = il costo di prodotto è composto da costi diretti e da quote di costi indiretti attribuiti utilizzando delle basi di ripartizioni, è meno certo perché contiene degli elementi stimati (coefficiente di attribuzione) -> costo più complessivo che introduce delle stime che potrebbero non essere corrette -> il costo pieno è maggiore del costo diretto, ma è meno certo -> rischia di essere diverso dal costo realmente sostenuto.

Metodologia del direct costing = configurazione di costo che non considera tutti i costi effettivamente sostenuti per realizzare il prodotto, ma considera solo i costi che corrispondono al valore dei fattori produttivi che vengono impiegati per la produzione del prodotto -> solo costi diretti.

Due tipologie: una prende in considerazione l‘unità di prodotto, l‘altra prende in considerazione anche i costi dei fattori produttivi utilizzati per realizzare un determinato volume di produzione perché rappresentano dei costi diretti della linea di produzione = costi fissi specifici -> ammortamenti, costi di manutenzione, costi indiretti del personale impiegato esclusivamente per realizzare il prodotto -> in questo caso il direct costing prende in considerazione questi costi anche se non diretti solamente dopo aver determinato il costo diretto unitario che va moltiplicato per i volumi di produzione per ottenere il costo diretto totale.

Misurazione dei costi basata sui centri di costo: sistema in cui ciascuna unità organizzativa dell’azienda viene tradotta in un box contabile (unità di raggruppamento dei costi) in cui vengono sommati tutti i costi generati dall’attività di quell’unità produttiva. Un centro di costo viene individuato grazie allo svolgimento di attività omogenee che si esprimono in unità misurabili.

Devo decidere come distribuire i costi generati nel CdC sul mio prodotto = occorre misurare le risorse consumate dai singoli centri. Ha il vantaggio di poter scegliere delle basi che riflettono la dinamica delle attività dentro ciascun centro di costo.

Localizzazione dei costi = sono attribuiti ai centri di costo tutti i costi che riguardano la gestione economica caratteristica, che concorrono a determinare il risultato operativo, che si riferiscono a fattori produttivi i cui processi di impiego risultano connessi alle operazioni svolte da uno o più centri di costo. I costi localizzati nei centri di costi possono essere costi specifici di centro di costo per risorse esclusivamente riferibili ad un dato centro di costo oppure costi comuni per risorse consumate da più di centri di costo

Misurazione dei costi basata sulle attività: activity based costing (ABC) = i prodotti, i servizi, i clienti consumano le attività del processo produttivo e queste ultime generano i costi, sistema più adatto per le imprese che si occupano di servizi. Due attività devono essere considerate distintamente se rappresentano una percentuale significativa dei costi aziendali, se la determinante ultima dei costi della prima attività è differente da quella della seconda attività, se ciascuna delle due attività è fonte distinta di differenziazione per l’azienda.

Le risorse riferibili in via esclusiva alle attività sono oggettivamente attribuite alle stesse à le risorse comuni a più attività utilizzando i resource drivers = misure del consumo delle risorse da parte delle attività. Successivamente, l’imputazione dei costi dalle attività ai prodotti avviene attraverso gli activity drivers = basi di ripartizione che consentono di esprimere il legame di consumo delle attività da parte del prodotto. Le determinanti di costo (cost driver) influenzano il comportamento dei costi all’interno di un’attività e dovrebbero esprimere i fattori della complessità gestionale che condizionano lo svolgersi di una specifica attività.

Il metodo di rilevazione nella contabilità analitica può essere sia contabile che extra-contabile, a seconda delle esigenze. Anche perché i destinatari delle analisi svolte sono soggetti interni come gli amministratori e il direttore generale.

Le rilevazioni avvengono sia in via preventiva che in via consuntiva per permettere l’analisi dei costi.

6. Controllo della gestione: piani e programmi, budget e analisi degli scostamenti

Il controllo di gestione è un sistema di strumenti tecnico-contabili che supporta le decisioni della direzione aziendale, nella ricerca delle condizioni di efficienza ed efficacia al fine di raggiungere gli obiettivi dell’impresa. Per questo misura e monitora i risultati di gestione. Il controllo di gestione permette ai manager di fare le scelte più convenienti per il conseguimento degli obiettivi stabiliti.

Controllare un’impresa significa indirizzarla verso le finalità che le sono proprie —> attività tipica della direzione —> fasi delle attività di controllo:

  1. Pianificazione strategica = identificazione degli obiettivi strategici di lungo periodo che prevedono una trasformazione in alcune caratteristiche dell’azienda —> definizione dei programmi intesi alla realizzazione di tali obiettivi e allocazione delle risorse ai programmi —> quando si definisce un obiettivo strategico si vuole aumentare la capacità dell’azienda di creare risorse finanziarie
  2. Programmazione operativa e budgeting = tradurre gli obiettivi strategici attraverso tecniche in obiettivi operativi —> mi interessa non più la dimensione finanziaria ma quella reddituale, gli obiettivi operativi producono dei costi che sono riferiti a quello specifico periodo in cui vengono realizzati —> orizzonte temporale di breve periodo —> relazione dei piani e dei budget con le strutture organizzative e delle responsabilità economiche
  3. Misurazione dei risultati e reporting = possono essere sia risultati di tipo finanziario ed economico sia risultati di tipo non finanziario (caratteristiche dei prodotti, qualità, tempi, caratteristiche materie prime, indicatori legati alle emissioni) —> sistema di rilevazione analitica e di misurazione dei costi —> confronto tra obiettivi e risultati economico- finanziari e analisi delle varianze (differenziale) = si verifica se sono stati rispettati oppure no gli obiettivi che erano stati definiti —> si fa questa verifica ex post per poter attivare immediatamente delle azioni correttive
  4. Valutazione delle performance = andare ad attivare tempestivamente le azioni correttive necessarie per evitare che alcuni obiettivi non siano raggiunti o per evitare che l’azienda continui a seguire un obiettivo nonostante quell’obiettivo non sia giusto —> azioni correttive di feedback che guardano indietro e dicono se quello che è stato deciso in precedenza è corretto o meno e consentono di rivedere le nostre ipotesi fatte in passato senza modificarne la natura —> azioni correttive feed-forward che modificano gli obiettivi

Il budget è un documento pubblico che contiene gli obiettivi strategici, è uno strumento fondamentale per gestire con consapevolezza economica le aziende.

I macro-obiettivi della direzione (reddito, sviluppo e investimento) vengono presi a riferimento per determinare i budget di dettaglio operativo che traducono gli obiettivi operativi in costi e ricavi e li assegnano ad una unità organizzativa. Questi autorizzano le diverse unità organizzative a sostenere dei costi entro un certo limite e sono uno strumento fondamentale di coordinamento all’interno dell’azienda.

I budget finanziari dettagliano le entrate e le uscite di cassa, la posizione finanziaria dell’azienda (debiti e crediti) e gli investimenti. Sono strumenti di riferimento per gli obiettivi di pianificazione strategica. Essi generano oneri finanziari. È importante programmare bene quando si fa un investimento per mantenere la competitività dell’azienda, dato che gli investimenti hanno un’influenza diretta sui costi operativi.

I budget operativi comprendono il budget delle vendite (traduce le quantità in ricavi), il piano di produzione (traduce le vendite in unità da produrre), il budget degli acquisti delle materie prime e il budget dei costi operativi. Rappresentano gli impatti sui flussi di reddito dei programmi di azione attinenti alla gestione operativa necessari per perseguire gli obiettivi generali dell’impresa. Tutti questi budget permettono di costruire il conto economico operativo e sono riferiti ad un unico prodotto o linea di produzione.

La preparazione dei budget viene fatta dai top manager dell’azienda:

  • Budget scorrevole = trimestre dopo trimestre viene cambiato;
  • Revised budget = vengono rivisti e aggiornati la maggior parte degli elementi;
  • Budget flessibile = cambia in base al periodo

L’attività di budgeting si svolge durante tutto l’anno, specialmente verso la fine. È una sequenza logica delle fasi tecnico-contabili che conducono alla realizzazione del budget.

Il costo standard esprime le condizioni operative di acquisto e di impiego dei fattori produttivi definite sulla base di una rigorosa analisi dei processi aziendali, viene utilizzato come termine di confronto ed è presente incertezza perché non è detto che le ipotesi poi si realizzino.

Costo standard = prezzo standard (costo di acquisto unitario del fattore produttivo) x quantità standard (quantità di fattore produttivo necessaria ad ottenere un’unità di prodotto finito).

Il costo standard rappresenta il valore del fattore produttivo incorporato in un’unità di prodotto finito.

Standard costing = viene costruito un sistema contabile ex ante, caratterizzato da incertezza perché si fanno delle ipotesi -> i costi vengono ipotizzati ex ante per determinare analiticamente le risorse da acquisire ed impiegare, per porsi come obiettivo delle aspettative di performance con cui confrontare le performance effettive, per orientare il comportamento degli operatori aziendali favorendo il raggiungimento di migliori livelli di efficienza e per permettere di valutare le rimanenze.

Analisi degli scostamenti: confronto tra valori preventivi e valori consuntivi, fornisce le informazioni fondamentali per intraprendere delle azioni correttive.

Rappresenta il processo di misurazione e interpretazione delle differenze tra valori preventivi e valori consuntivi.

Fasi del processo:

  1. Rilevazione degli scostamenti globali per ciascuna categoria di fattore produttivo;
  2. Rilevazione degli scostamenti elementari;
  3. Interpretazione degli scostamenti per definire le azioni correttive e valutare le responsabilità.

Lo scostamento globale dei costi variabili è la differenza tra i costi variabili totali di budget e i costi variabili totali effettivi e si compone di tre scostamenti elementari:

  • Scostamento di volume = differenza tra volume di produzione programmato e quello effettivo -> (Ps x Qs) x (Vp – Ve);
  • Scostamento di efficienza = differenza tra la quantità di fattore produttivo che si sarebbe dovuta impiegare e la quantità effettivamente impiegata -> variazione delle condizioni di impiego dei fattori produttivi -> Ps x (Qs x Ve – Qe x Ve)
  • Scostamento di prezzo = differenza tra il prezzo standard unitario e il prezzo effettivo unitario del fattore produttivo, entrambi riferiti alla quantità di fattore produttivo effettivamente impiegata (Qe x Ve)) -> evidenzia la variazione delle condizioni di acquisizione dei fattori produttivi -> Qe x Ve (Ps – Pe)

Lo scostamento globale dei costi indiretti fissi è la differenza tra i costi fissi assorbiti e i costi fissi effettivi. Se positivo, indica che i costi fissi attribuiti alla produzione effettiva sono superiori a quelli effettivamente sostenuti (favorevole); se negativo, indica che i costi fissi attribuiti alla produzione sono inferiori a quelli effettivamente sostenuti (sfavorevole):

  • Scostamento di volume = differente grado di utilizzo della capacità produttiva tra preventivo e consuntivo -> differenza di assorbimento dei costi fissi dovuta a variazioni nelle condizioni operative di utilizzo della struttura -> Cs x (Ve – Vp)
  • Scostamento di spesa = misura la differenza tra i costi di budget e i costi effettivi

7. Contabilità generale: piano dei conti, rilevazione delle operazioni esterne di gestione, situazioni contabili, scritture di assestamento e di chiusura

La contabilità generale ha per oggetto la sistematica rilevazione dei fatti esterni di gestione allo scopo di determinare il reddito di esercizio e il patrimonio di funzionamento di un’impresa.

Attraverso le rilevazioni della contabilità generale si redige il bilancio d’esercizio che fornisce informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’azienda.

La contabilità generale rileva i fatti di gestione rispetto alla loro manifestazione numeraria = movimenti di cassa, accensione di debiti o concessione di crediti. Ha come priorità la precisione e adotta gli schemi rigidi della partita doppia: ogni operazione deve essere studiata sia dal punto di vista della gestione numeraria che della gestione economica. I fatti di gestione vengono rilevati nei conti finanziari, cioè conti accesi a valori numerari certi (disponibilità liquide), assimilati (crediti e debiti) o presunti (ratei e fondi per rischi e oneri), e nei conti economici, cioè conti accesi a valori di reddito (costi e ricavi).

I conti finanziari accolgono le variazioni positive in dare e le variazioni negative in avere, nei conti economici si registrano le variazioni negative in dare e quelle positive in avere. Pertanto, in qualsiasi momento il totale dei valori in dare deve essere uguale al totale dei valori in avere.

Il bilancio d’esercizio è destinato agli stakeholders, cioè soggetti esterni all’impresa che hanno diversi interessi ai dati aziendali.

La contabilità generale ha 3 obiettivi:

  • Rilevare i fatti di gestione
  • Determinare i risultati di gestione
  • Interpretare i risultati di gestione

Le rilevazioni contabili e la redazione del bilancio d’esercizio hanno il ruolo di controllo della gestione e il ruolo di informare i soggetti esterni all’impresa sul suo andamento nel mercato.

Un conto indica una serie di scritture relative ad un oggetto, variabile e misurabile, aventi lo scopo di fornire informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative di tale oggetto in un determinato momento. Il conto è un prospetto a due sezioni (dare e avere). Un conto viene istituito, acceso e infine chiuso.

Il piano dei conti è un documento che contiene l’elenco di tutti i conti potenzialmente attivabili da un’azienda e che rilevano i fatti di gestione e le operazioni che portano alla determinazione del risultato di fine periodo. Il piano dei conti esprime il sistema di conti in uso nell’impresa e rispecchia il suo sistema dei valori, è strettamente collegato alla realtà gestionale dell’impresa. Ogni conto è individuato da un titolo e da un numero di riferimento univoco. Il piano dei conti ha un ruolo informativo.

Ogni azienda decide come strutturare il proprio piano dei conti in base alle proprie esigenze, dato che non è regolamentato da nessuna norma giuridica.

Il piano dei conti è strutturato su più livelli, perciò un conto viene suddiviso in un certo numero di sottoconti. I conti sono caratterizzati da una descrizione e sono numerati progressivamente.

Il piano dei conti è la base delle scritture di contabilità generale e assolve alla funzione di raggruppare le rilevazioni contabili in modo tale che l’attività economica e patrimoniale dell’azienda venga rappresentata in forma omogenea e sintetica.

I conti mastro sono il primo livello di raggruppamento e contengono conti tra loro omogenei (es. immobilizzazioni), il conto contiene dei conti sintetici (es. immobilizzazione tecniche, immobilizzazioni immateriali, ecc), i sottoconti sono i conti utilizzati nelle registrazioni contabili (es. automezzi, impianti e macchinari, attrezzature, ecc).

I conti mastro servono a predisporre il bilancio d’esercizio.

I conti possono essere finanziari, economici oppure di capitale (legati al patrimonio netto).

La contabilità generale si occupa delle operazioni esterne di gestione = operazioni che danno origine a scambi monetari tra l’impresa e terzi, attraverso le quali le imprese reperiscono i fattori produttivi e collocano sul mercato i beni e servizi prodotti.

Le operazioni esterne di gestione sono operazioni di scambio con terzi e determinano un collegamento tra l’impresa e degli operatori economici esterni:

  • Operazioni di finanziamento (acquisizione dei fattori produttivi e raccolta di capitali)
  • Operazioni di investimento (investimento di capitali)
  • Operazioni di disinvestimento (vendita di beni)

Le operazioni di gestione originano entrate o uscite finanziarie che vengono registrate dalla contabilità generale e mettono in contatto l’azienda con altre unità produttive o erogative (fornitori, clienti, stato…).

Le operazioni esterne di gestione generano costi e ricavi.

I costi sono tutti gli oneri sostenuti dall’azienda per acquistare i fattori produttivi necessari alla sua autorità:

  • Costi pluriennali = acquisto di fabbricati, impianti e macchine, attrezzature, automezzi, arredamento, brevetti, avviamento, spese impianto.
  • Costi d’esercizio = sostenuti per l’acquisizione di fattori produttivi a breve ciclo di utilizzo -> riguardano le merci, lavoro, i servizi, il godimento di beni di terzi, oneri finanziari, oneri tributari, oneri straordinari.

I ricavi sono i corrispettivi derivanti dalla vendita dei beni e dalla prestazione dei servizi. Possono derivare dalla vendita delle merci, dalla vendita di beni strumentali (operazioni straordinarie di disinvestimento), da proventi finanziari oppure da proventi straordinaria.

Per quanto riguarda l’aspetto economico i costi vengono registrati in DARE (materie prime, semilavorati, componenti, imballaggi c/acquisti) e i ricavi in AVERE (prodotti finiti, semilavorati c/vendite). Per quanto riguarda l’aspetto finanziario nel caso della vendita viene registrato il credito verso i clienti in DARE (crediti v/clienti) e al momento della riscossione del denaro viene registrata l’entrata di cassa in DARE (banca c/c) e l’estinzione del credito verso i clienti in AVERE. Nel caso dell’acquisto, viene registrato il debito verso i fornitori in AVERE (debito v/fornitori) e al momento del pagamento viene registrata l’uscita di cassa in AVERE (banca c/c) e l’estinzione del debito verso i fornitori in DARE.

La situazione contabile è il documento che mette in evidenza solamente i saldi dei conti riportandoli in DARE o AVERE a seconda della sezione eccedente. La situazione contabile emerge dal bilancio di verifica, che è un prospetto in cui si riepilogano tutti i conti interessati dalle rilevazioni in relazioni ai saldi. Il bilancio di verifica è il riepilogo di tutti i conti movimentati evidenziandone il saldo. Serve a mettere in evidenza i valori che si sono generati e che devono essere assestati. Nel bilancio di verifica vengono riportati i conti con il totale in DARE e il totale in AVERE e il saldo di ogni conto. Per questo motivo, dal bilancio di verifica è possibile vedere la situazione contabile. Nella situazione contabile, il saldo in DARE deve essere uguale a quello in AVERE.

Il bilancio di verifica è utile per individuare errori ed omissioni nelle rilevazioni contabili = è uno strumento di riscontro sulla corretta esecuzione della fase di inserimento dei valori. Non ci sono errori se il totale DARE è uguale al totale AVERE. Il bilancio di verifica e la situazione contabile permettono di osservare gli elementi che compongono il patrimonio e i diversi componenti di reddito, e anche di avere un’idea sulla situazione dell’azienda.

Entrambi i documenti vengono redatti prima che vengano effettuate le scritture di assestamento e di chiusura.

Nella fase di assestamento le rilevazioni si fermano, vengono esaminate le informazioni contabili e viene valutata la loro corretta impostazione e il loro significato.

Il reddito di esercizio è formato da valori oggettivi (valori economici certi) e soggettivi (valori stimati e congetturati). Il reddito, quindi, non è mai un valore certo, ma è un valore congetturato che viene assunto come indicatore dell’economicità della gestione.

Nel calcolare i valori dobbiamo assumere due principi guida:

  • Principio della prudenza: non si tiene conto di risultati economici positivi se non si ha la certezza che si sono realizzati e si tiene conto dei risultati economici negativi anche se sono solo temuti;
  • Criterio della competenza: aiuta a riconoscere i ricavi e i costi di competenza dell’esercizio = i ricavi sono di competenza dell’esercizio se il ciclo tecnico è concluso e lo scambio è avvenuto o la prestazione è stata erogata (è stata emessa la fattura), mentre i costi di competenza sono solo quelli correlati ai ricavi dell’esercizio, cioè espressione di fattori produttivi che sono stati consumati nel processo che ha consentito a generare i ricavi di competenza.

Le scritture di assestamento hanno la funzione di separare l’aspetto finanziario da quello economico nel caso in cui i valori non appartengano allo stesso periodo amministrativo-contabile.

Le scritture di assestamento si distinguono in:

  • scritture di storno
  • scritture di integrazione
  • scritture di ammortamento

Scritture di storno = eliminare, tagliare, rettificare costi e ricavi presenti nel nostro sistema dei valori (rilevati nell’esercizio, anticipati), ma in tutto o in parte non sono di competenza di questo esercizio -> guardare se all’interno del bilancio di verifica ci sono valori riferiti a ricavi o a costi che non sono di competenza dell’esercizio. Se i costi non sono correlati a ricavi di competenza dell’esercizio vengono rimandati all’esercizio successivo -> costo sospeso in DARE (aumenta la ricchezza reale) e storno di costo in AVERE, ricavo sospeso in AVERE e storno del ricavo in DARE. Scritture di integrazione = esistono costi e ricavi di competenza dell’esercizio, ma poiché la loro manifestazione finanziaria è posticipata, non ne abbiamo traccia nel sistema contabile -> aggiungere ai valori economici dell’esercizio quelli che non sono stati rilevati, ma che sono fattori produttivi o prodotti finiti per i quali è stato completato un ciclo tecnico = rettificano costi e ricavi non rilevati (posticipati) nell’esercizio, ma in tutto o in parte di competenza.

Per integrare un costo indico il costo in DARE e il debito presunto in AVERE, mentre per integrare un ricavo indico il ricavo in AVERE e il credito presunto in DARE.

SCRITTURE DI INTEGRAZIONE

Fatture da emettere

Integrano il sistema contabile con i ricavi di competenza dell’esercizio perché c’è stato uno scambio, ma non è stata rilevata una corrispondente scrittura contabile continuativa —> non è stata ancora emessa la fattura di vendita = scambi effettivamente avvenuti (passaggio della proprietà), non rilevati dalle scritture continuative, a motivo della mancata emissione della fattura di vendita entro il termine del periodo amministrativo (fatturazione successiva alla vendita).

Espressione di crediti presunti rilevati per ricavi da liquidare di competenza dell’esercizio. Si rileva il ricavo di competenza in AVERE e il credito presunto in DARE.

Fatture da ricevere

Si è in presenza di un costo di competenza dell’esercizio in chiusura (DARE) perché lo scambio è avvenuto, ma non è stato rilevato dal sistema contabile perché la fattura del fornitore non è pervenuta entro il termine del periodo amministrativo, occorre integrare il sistema dei valori rilevando il costo medesimo.

Partite attive da liquidare (in AVERE) = il documento contabile che manca è qualcosa di diverso dalla fattura, ad esempio gli interessi attivi bancari maturati non liquidati (estratto conto) -> per segnare il credito non posso scrivere banca c/c in dare perché la banca ancora non ha versato = abbiamo un credito presunto -> la banca non emette fatture, perciò si usa il termine “partite attive da liquidare” se sono ricavi oppure “partite passive da liquidare” se sono costi.

Tipologie di situazioni nelle quali posso rilevare una partita passiva: quando sono di competenza dei costi ma mi manca il documento formale = interessi passivi, commissioni e oneri bancari maturati e non liquidati, premi assicurativi dovuti, premi passivi a clienti, sconti/abbuoni (collegate a note di credito), retribuzioni a dipendenti (con oneri sociali, buste paga) maturate e da liquidare, imposte da liquidare allo stato sul reddito dell’esercizio.

Ratei = quote di ricavi e costi, espressione di cicli economici non conclusi comuni a due esercizi, non rilevati per mancanza della manifestazione finanziaria (posticipata) -> costo e debito non rilevato, ma di competenza; ricavo e credito non rilevato, ma non di competenza -> la differenza sta nell’importo: le fatture e le partite sono collegate a costi e ricavi tutti di competenza di un esercizio in chiusura -> nel caso dei ratei il ricavo è per una parte di competenza dell’esercizio in chiusura e per una parte di competenza dell’esercizio successivo -> occorre integrare il sistema contabile con la quota parte maturata attribuibile all’esercizio in chiusura. Il criterio di ripartizione è quello della proporzionalità rispetto al tempo.

Il rateo attivo è sempre un credito (presunto = scomposizione matematica di un valore che in realtà non esiste) e misura un ricavo. La quota di costo misura il debito presunto (ratei passivi).

Fondi spese future

Integrano il sistema dei valori rilevando i costi, correlati ai ricavi di competenza e connessi a uscite finanziarie future delle quali non è noto il momento di effettiva manifestazione -> maggiore incertezza e massimo grado di indeterminatezza.

Noi teniamo conto di costi (criterio della prudenza) che potrebbero essere collegati ai ricavi che stiamo rilevando nel bilancio di quest’anno, ma non sappiamo con certezza quando avverrà.

Accantonamento al fondo = costo (DARE), immagino che ci sia un fattore produttivo consumato legato a un’uscita finanziaria futura che non so bene quando si verificherà = esempio: fondo ti trattamento di fine rapporto (TFR), è un debito nei confronti dei dipendenti che devo riconoscere per ogni anno di lavoro prestato dal lavoratore e lo riconoscerò soltanto nel momento in cui il rapporto di lavoro si interromperà -> il debito (AVERE) lo chiamo fondo perché non so quando lo pagherò -> è una stima, non riesco a definire con assoluta certezza.

Altri casi: fondo manutenzioni cicliche, fondo imposte differite.

Fondo rischi = non solo non so quando si verificherà l’uscita finanziaria legata a questo fattore produttivo (costo riconosciuto), ma non so neanche se si verificherà = l’evento negativo potrebbe non verificarsi in futuro e non è comunque noto il momento di manifestazione.

I rischi considerati sono molteplici, i più frequenti determinano la creazione di: fondo svalutazione dei crediti, fondo garanzie dei prodotti, fondo rischi su cambi —> accantonamento in DARE per segnare il costo, fondo in AVERE per segnare il debito oppure il minor credito.

Al 31/12 io temo che una parte dei clienti non mi paghi alla scadenza —> se non paga, il ricavo che è collegato a quel credito, non esiste e non è di competenza —> se temo che qualche cliente sia inadempiente, accantono per prudenza quel costo (= rettifica del ricavo maturato verso quel cliente) —> scrivo l’importo corrispondente nel “fondo rischi”, che è una previsione di minore entrata.

SCRITTURE DI STORNO

Le partite sospese

Sono costi o ricavi che sono interamente di competenza dell’esercizio successivo, sono stati rilevati nell’esercizio in chiusura per il verificarsi in via anticipata della variazione finanziaria. Il costo non deve rientrare nel conto economico -> storno il costo in AVERE. Sono attive se acquisto e passive se vendo.

Le rimanenze = esprimono cicli economici non conclusi, in corso di svolgimento alla data di chiusura dell’esercizio -> sono dei fattori produttivi e prodotti finiti presenti nel nostro magazzino -> non possiamo considerare il loro contributo al conto economico = si stornano dal conto economico e si sospendono mettendoli nello stato patrimoniale.

Attraverso la loro rilevazione si sottraggono alla formazione del reddito d’esercizio e si rinviano all’esercizio successivo i costi di acquisizione dei fattori produttivi non correlati ai ricavi di competenza.

Il costo sospeso iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale esprime il valore delle condizioni produttive non consumate che sono a disposizione dell’impresa nell’esercizio successivo.

Lo storno del costo avviene in modo indistinto e con una tecnica di rettifica indiretta -> conto “rimanenze finali” = costo sospeso, stato patrimoniale, dare; conto “variazione delle rimanenze” = storno di costo, conto economico, avere -> differenza con scritture di storno: lo storno di costo o di ricavo andava ad utilizzare il conto che funzionava tutto l’anno (es. merci c/acquisti) -> si tengono distinti il totale degli acquisti fatti durante l’anno e quello che rimane nel magazzino alla fine dell’esercizio = si tengono le informazioni in due conti separati.

Nell’esercizio successivo, le rimanenze finali diventano rimanenze iniziali e non hanno più ragione di esistere quindi viene chiuso il conto (avere).

Risconti = quote di costi o di ricavi che hanno avuto manifestazione finanziaria anticipata, ma che attengono a processi produttivi che troveranno compimento nel futuro esercizio -> già rilevati; competenza associata in parte all’esercizio successivo.

Conto “risconti attivi” = costo sospeso, AVERE; conto “storno di costo” = costo che devo rettificare, DARE.

Conto “storno di ricavo” = DARE; conto “risconti passivi” = ricavo sospeso, AVERE.

SCRITTURE DI AMMORTAMENTO

Sono rivolte alle immobilizzazioni materiali e immateriali, soggette a deperimento fisico e superamento tecnologico.

Presuppone la definizione del valore da ammortizzare, della vita utile del fattore produttivo e del criterio di ammortamento.

Metodo di rilevazione diretta (o in conto): i costi pluriennali devono essere ammortizzati, cioè danno il loro contributo a più processi produttivi = si prende il costo pluriennale, che è stato capitalizzato (brevetti, impianti..) e normalmente viene in DARE -> tolgo dal costo la quota che si è consumata = storno -> il costo che va a confluire nel conto economico è la quota di ammortamento (DARE) mentre nello stato patrimoniale indicheremo il costo pluriennale rettificato (AVERE, per la quota che si è consumata).

Metodo di rilevazione indiretta (o fuori conto): fondo non vuole più dire debito, rappresenta solo l’indeterminatezza -> il fondo ammortamento non è un debito, ma è un valore economico pluriennale = in AVERE, perché è la rettifica del valore economico pluriennale; la quota è la quota consumata del fattore produttivo che rimane nel conto economico alla fine dell’esercizio, in DARE.

Determinazione della quota consumata (criterio di ripartizione tra i vari esercizi) = viene espressa la perdita di valore attraverso il consumo, tenendo in considerazione il costo storico e la vita utile del bene per l’azienda.

LE SCRITTURE DI CHIUSURA

La chiusura dei conti è il passaggio necessario per potere determinare i risultati di fine periodo (reddito di esercizio e capitale di funzionamento).

Epilogo dei componenti negativi e positivi di reddito: apertura di un conto economico (DARE) in cui si mettono i saldi di tutti i conti che sono accesi ai costi d’esercizio -> per chiuderli dobbiamo scrivere il saldo nella sezione AVERE = trasferire nuovo saldo nel conto economico. Si fa la stessa cosa per epilogare i ricavi d’esercizio -> per chiudere questi conti occorre scrivere i loro importi nella sezione DARE e trasferire il loro saldo all’interno della sezione AVERE nel conto economico -> dalla lettura del conto economico si capisce se ciò che è scritto nella sezione DARE (costi) è maggiore di ciò che abbiamo scritto nella sezione AVERE (ricavi) oppure viceversa.

Determinazione del risultato economico di esercizio:

  • costi > ricavi = il conto economico si chiude solo se la differenza viene posizionata nella sezione AVERE per pareggiare le due sezioni -> perdita d’esercizio rappresenta la distruzione di valore che viene scontata dal capitale dei soci.
  • ricavi > costi = per chiudere il conto economico occorre scrivere l’importo della differenza tra i costi (DARE) per consentire il pareggio delle due sezioni -> l’utile di esercizio è la ricchezza generata che spetta ai soci.

Il risultato d’esercizio lo troviamo anche nello stato patrimoniale, perché è una parte ideale del patrimonio netto aziendale.

Epilogo delle attività di bilancio: avviene aprendo di nuovo un conto riepilogativo “stato patrimoniale finale” = nella sezione DARE andremo a chiudere i valori corrispondenti a tutti i conti che ancora presentano un saldo positivo e che per chiudersi hanno bisogno dell’annotazione nella sezione AVERE dell’importo corrispondente al saldo -> esempio: cassa, clienti, partecipazioni, valori finanziari attivi, costi pluriennali, costi comuni a due esercizi (immobilizzazioni o rimanenze), risconti attivi à per chiudere tutti i conti dobbiamo trasferire il loro saldo nella sezione DARE e annotare nella sezione AVERE ogni specifico conto; tra questi si mette anche la perdita di esercizio.

Epilogo delle passività di bilancio e dei conti di patrimonio netto: tutti i conti (valori finanziari passivi, ricavi pluriennali, patrimonio netto) caratterizzati dal segno negativo -> per chiuderli dobbiamo scrivere il loro importo in DARE all’interno dei singoli conti e trasferire il saldo complessivo nella sezione AVERE nel conto stato patrimoniale finale.

Al termine delle operazioni tutti i conti del sistema dei valori d’impresa sono chiusi -> il sistema dei conti è totalmente azzerato (tutti i valori presentano un saldo pari a zero). Non dovremmo avere nessun conto aperto.

Il bilancio d’esercizio è una presentazione delle informazioni che il sistema contabile raccoglie durante l’esercizio = operazione di redazione dei documenti di sintesi. I documenti di sintesi sono una riscrittura più chiara delle due scritture di chiusura finali. Il bilancio è composto da stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa.

La nota integrativa è una parte del bilancio; documento prevalentemente descrittivo; ha la funzione di fornire l’analisi e l’illustrazione dei dati sintetici contenuti negli schemi di stato patrimoniale e di conto economico. Lo schema è obbligatorio e il contenuto è stabilito dall’art. 2427 cc. Aiuta a comprendere la dinamica economica caratterizzante l’esercizio.

La relazione sulla gestione è un documento che ha la funzione di corredare il bilancio con informazioni utili per una migliore comprensione della situazione patrimoniale-finanziaria in cui l’azienda si trova e della sua dinamica reddituale, ma non è un documento costitutivo del bilancio d’esercizio.

Art. 2423 cc = principi generali di redazione del bilancio:

  • Chiarezza: l’esplicazione dei contenuti deve consentire l’agevole comprensione della situazione della società;
  • Verità: non verità oggettiva ed assoluta delle informazioni contabili, ma veridicità cioè attendibilità e credibilità delle informazioni e dei dati presenti nel bilancio;
  • Correttezza: prudenza e ragionevolezza nei valori stimati;
1. La gestione delle aziende industriali | Maturansia
Struttura stato patrimoniale
1. La gestione delle aziende industriali | Maturansia
Struttura conto economico

8. Correlazione tra contabilità analitica e generale nel quadro del sistema informativo integrato

I dati elaborati dalla contabilità generale sono destinati prevalentemente all’esterno (stakeholders), pertanto è uno strumento di informazione che segue regole precise secondo norme del Codice civile. Fornisce dati per il bilancio (financial accounting), analizzando l’aspetto economico e l’aspetto finanziario dei fatti esterni di gestione con rilevazioni consuntive, basandosi sulla metodologia di rilevazione contabile della partita doppia.

La contabilità generale si limita a classificare i costi in base alla natura o alla destinazione e rileva i dati in via consuntiva (dati di sintesi), è caratterizzata da rilevazioni obbligatorie e quindi ha un elevato livello di precisione e oggettività. Fornisce informazioni di carattere generale.

Dall’altro lato la contabilità analitica effettua rilevazioni sia preventive che consuntive e fa parte del sistema informativo per la direzione (management accounting), analizza fatti interni con un elevato grado di articolazione. Fornisce informazioni riguardo i costi e i ricavi e i risultati per segmento aziendale (centri di costo o commesse), ma analizza solo l’aspetto economico. Classifica i costi in base alla destinazione, cioè li attribuisce ad una specifica area, e alle loro caratteristiche (fissi, variabili, ecc). Assume forme diverse in base all’azienda.

Utilizza metodi di rilevazione sia contabili che extracontabili ed è uno strumento di gestione. I dati della contabilità generale sono rivolti a soggetti interni (top manager).

Mentre i dati della contabilità generale sono oggettivi e documentati, quelli della contabilità analitica possono essere stimati o presunti.

La contabilità analitica svolge un ruolo fondamentale nella fase di programmazione dei risultati, mentre la contabilità generale è uno strumento utile nella fase di analisi degli scostamenti perché rileva dati precisi a consuntivo.

Nella contabilità generale prevale la precisione del dato, mentre in quella analitica la tempestività con cui esso è rilevato.

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